Fiat, a volte ritornano

Marcegaglia: «Via l’art. 18; vogliamo solo licenziare fannulloni e ladri». E un attacco al sindacato: «Non li difenda». Senza smentite
MARCHIONNE Appoggio «esterno» a Bombassei, Marcegaglia perde la testa

Marcegaglia: «Via l’art. 18; vogliamo solo licenziare fannulloni e ladri». E un attacco al sindacato: «Non li difenda». Senza smentite
MARCHIONNE Appoggio «esterno» a Bombassei, Marcegaglia perde la testa

C’è qualcuno che sta peggio del Pd e della Cgil. È Confindustria. Lo scontro in atto in vista del rinnovo delle cariche – Emma Marcegaglia è in scadenza – si sposa alla perfezione con il «rinnovamento» in atto nelle relazioni industriali dopo l’irruzione del «modello Pomigliano» e l’uscita di Fiat dall’associazione degli industriali, e soprattutto con le «riforme strutturali» che il governo sta portando avanti. E la stessa Marcegaglia ne risente in modo pesante.
A Firenze, in quello che doveva essere un normale convegno nazionale di Federmeccanica, si sono avuti due segnali per molti versi chiarissimi. Il più importante è lo schieramento esplicito, pesante, dittatoriale, esercitato da Marchionne e dalla Fiat. Che – va ricordato – è uscita dall’organizzazione, e non paga più le quote pur di applicare un «contratto» diverso da quello nazionale. Ma soffermarsi sulla volgarità dello stile, in questo momento, è superfluo. «Bombassei è un uomo aperto al dialogo, all’innovazione e al cambiamento – ha scritto Marchionne dal suo altrove – Queste sue doti sarebbero molto utili a Confindustria che dovrà essere profondamente rinnovata per partecipare da protagonista alla modernizzazione del nostro paese, in linea con le riforme che il governo Monti sta portando avanti». Difficile essere più chiari. Su Squinzi, patron della Mapei, avversario di Bombassei e attualmente in vantaggio nella «campagna elettorale» interna, è stato gelido: «non mi posso pronunciare perché non lo conosco».
È lo scontro tra due tipi di imprenditori: quelli ormai completamente interni al mercato internazionale, che vedono nell’Italia solo un «luogo di produzione» a costi da comprimere il più possibile; e gli altri, che vedono nel paese sia l’aspetto produttivo che «il mercato di riferimento» per le proprie merci. Ai primi, della bontà delle relazioni industriali importa poco; per i secondi, avere in loco un «domanda solvibile» (clienti con i soldi in tasca) è invece fondamentale.
La tensione deve aver ormai raggiunto i livelli di guardia se Marcegaglia, uscente e quindi in teoria indifferente all’esito dello scontro, ha tenuto a sottolineare soprattutto due cose. Una rivolta manifestamente all’interno: «non distruggiamo Confindustria», perché «questa è un’istituzione forte e credibile», certamente «da migliorare, ma è l’unica casa che abbiamo». Quasi un’accusa aperta ai Marchionne che l’hanno abbandonata e dall’esterno ancora pretendono di deciderne orientamento e sorti.
La seconda, invece, è rivolta al sindacato e sembra a sua volta duramente condizionata dal conflitto interno agli industriali. «Noi vogliamo licenziare le persone che non fanno bene il proprio mestiere, gli assenteisti cronici, i fannulloni». Attenzione alle parole: qui non c’è la «questione politica» dell’art.18, c’è una torsione – squallida – della funzione delle leggi. Aggravata da un attacco frontale agli interlocutori che fin qui (digerendo persino l’«accordo del 28 giugno») avevano spianato la strada a una riforma peggiorativa del mercato del lavoro: «vorremmo avere un sindacato che non protegge assenteisti cronici, ladri e quelli che non fanno il loro lavoro».
Inevitabile la furiosa – anche se Twitter non sembra il medium più efficace, quando si vuol esibire una profonda rabbia per un insulto così grave – del segretario generale della Cgil, Susanna Camusso: «È davvero troppo. Sono affermazioni non vere che offendono e mettono in discussione il ruolo del sindacato confederale. Le smentisca». Il cinico Raffaele Bonanni ha subito sfoderato il pugnale, ma non certo per difendere la Cgil: «Marcegaglia farebbe bene a precisare di quale sindacato parla». Un vero signore.

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