Ben Gazzara, addio al «bad guy»

È morto all’età  di 81 anni l’attore americano Ben Gazzara, ricoverato a New York per un tumore al pancreas che gli era stato diagnosticato più di dieci anni fa. Era molto amato nel nostro paese, non solo perché di origini siciliane (Canicattì), ma per aver interpretato parecchi film con registi italiani.

È morto all’età  di 81 anni l’attore americano Ben Gazzara, ricoverato a New York per un tumore al pancreas che gli era stato diagnosticato più di dieci anni fa. Era molto amato nel nostro paese, non solo perché di origini siciliane (Canicattì), ma per aver interpretato parecchi film con registi italiani. E anche per certe sue caratteristiche riconoscibili dal nostro pubblico, dalla imperturbabilità, alla fragilità del dubbio, all’ambiguità, al disincanto, fino alla durezza del crimine e alla fede della santità. È stato Cutolo e Don Bosco, Bukovski e Casaroli. E poi l’uomo normale, ma non uno qualunque. Nel terzetto struggente con Totò e Anna Magnani in «Risate di gioia» di Monicelli del ’60 era un ladruncolo dal fascino torbido, quasi la parafrasi della dolce vita, ruolo che lo fece entrare nel nostro cinema a braccia aperte. Era già ben conosciuto per i film di guerra o polizieschi di successo come «Anatomia di un omicidio» di Preminger. Aveva studiato con Piscator, frequentato l’Actor’s Studio e fatta molta televisione. Era stato Brick in «La gatta sul tetto che scotta» a Broadway diretto da Elia Kazan, poi la parte era andata a Paul Newman. Il suo destino artistico si legò a quel nuovo cinema americano che negli anni ’70 rimescolò le carte e le trame, soprattutto con il suo amico John Cassavetes con cui interpretò «Mariti», «Assassinio di un allibratore cinese», «La sera della prima», volto e presenza strettamente legati allo stile del regista, o con Peter Bogdanovich che veniva dalla critica («Saint Jack», «E tutti risero»). Si trovò nel ’69 in Cecoslovacchia sul set del «Ponte di Remagen» durante l’invasione delle truppe del patto di Varsavia e insieme a Robert Vaughn fecero qualche movimento per far passare il confine austriaco ad alcuni della troupe. Fu Charles Bukovski per Marco Ferreri in «Storie di ordinaria follia» nell’81 e poi con Pasquale Festa Campanile («La ragazza di Trieste», ’82) , Bevilacqua, Valentino Orsini, fino al ruolo di Raffaele Cutolo nell’esordio di Giuseppe Tornatore «Il camorrista». Negli anni ’90 gira una quarantina di film e torna a lavorare negli Usa con autori interessanti e ancora una volta fuori dagli schemi come Todd Solondz, Turturro, Spike Lee, Vincent Gallo, i fratelli Coen. Non poteva mancare nel «Grande Lebovski».

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