Tutti bastardi senza gloria

 

Amici, fratelli anzi fascistissimi, il terzetto di poliziotti dal manganello duro, randella senza «discriminare» ultras, immigrati e zingari. Ma la periferia, i corpi e le violenze urbane vengono esposti con poca libertà  e spudoratezza

 

Amici, fratelli anzi fascistissimi, il terzetto di poliziotti dal manganello duro, randella senza «discriminare» ultras, immigrati e zingari. Ma la periferia, i corpi e le violenze urbane vengono esposti con poca libertà  e spudoratezza

ACAB DI STEFANO SOLLIMA, CON PIERFRANCESCO FAVINO E FILIPPO NIGRO, ITALIA 2012
Qualcuno uscendo mi dice: è un film da maschi a noi femminucce piace meno. Da ragazzina infatti i film «da maschi» mi piacevano poco, ci si mette un po’ a capire che i western sono lo stesso modo di interpretare le sfide tra fanciulle a colpi di perfidia che accendono le commedie sofisticate o che serpeggiano fra le «piccole donne». Non è il caso di Acab, esordio nel lungometraggio dopo alcuni fulminanti corti (Sotto le unghie, Grazie) di Stefano Sollima, figlio di Sergio Sollima, il regista di La resa dei conti, Faccia a faccia, Revolver, Sandokan, dal libro di Carlo Bonini (Einaudi), firma di punta del giornalismo italiano cresciuto in questo giornale, anche se i suoi protagonisti sono tutti uomini – le donne mogli opache sono puri pretesti. E ce lo dice dalla prima scena Cobra, il personaggio di Favino, spacca la faccia a un rumeno che stava per investirlo mentre lui correva in moto fischiettando «Celerino figlio di puttana». Musica dei White Stripes, Seven Nation Army. Solo che che «i nostri» non sono più «i buoni» da un bel pezzo, e la geometria dello scontro è molto più complessa, e comunque raffinata, perciò non basta.
All Cops Are Bastards, Acab, racconta un terzetto di poliziotti, Cobra, Negro, Mazinga (Pierfrancesco Favino, Filippo Nigro, Marco Giallini) del reparto mobile con esaltazione da manganello duro (la metafora è persino troppo eloquente). Amici anzi fratelli sempre in prima linea negli scontri di piazza. Fascistissimi, col ritratto del duce appeso in camera, i figli più fasci di loro col cranio in stile casa Pound, massacrano ultras di stadio o immigrati o zingari o senza casa poco importa. E quando Mazinga viene accoltellato pensano bene di farsi giustizia da sé.
Il diverso del gruppo è il più giovane (il bravo Domenico Diele), che mal si adatta ai loro mezzi, e per questo si becca l’iniziazione di rito. Lui, che ha gli amici ultras e randagi, vota Alemanno perché la mamma l’hanno cacciata di casa ma l’appartamento popolare è occupato da due tunisini, e ha deciso di fare il poliziotto perché voleva un mestiere onesto.
Sollima tra i corti e questo film, ha fatto molta tv, Crimini, La squadra, e soprattutto le due serie di Romanzo criminale , che è la cosa che più somiglia a Acab, e anche gli sceneggiatori, Daniele Cesarano, Barbara Petronio, Leonardo Valenti vengono dalle stesse esperienze televisive, e da una scuola di sceneggiatura italiana secondo la quale – la tv in sé non c’entra – si deve sempre chiudere tutto, spiegare, giustificare. Ellroy non ne ha mai bisogno per i suoi poliziotti bastardi, semmai è lui che ha la mamma nell’inconscio. Qui invece c’è bisogno di motivare, poverini sono così perché hanno avuto il trauma della Diaz (loro!), una «macelleria messicana» come dice Giallini, da cui non si sono più ripresi. E poi: mano pesante con le africane? Certo Negro ha la moglie cubana un po’ zoccola che lo fa impazzire …
Per carità niente ideologia, ma l’impressione finale è che manchi un po’ di libertà, e di spudoratezza anche nell’uso di quelli che potrebbero sembrare luoghi letterari o citazioni nel modo di innestarli nel presente. La musica a palla da sé non basta.

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