Da Petrarca al fantascientifico iPhone 50: il ricordo affettivo e quello artificiale
Da Petrarca al fantascientifico iPhone 50: il ricordo affettivo e quello artificiale Ho passato un anno a cercare di allenare la memoria, studiandone il funzionamento e cercando di capire se c’era un trucco o un esercizio per ricordare meglio. Ho imparato che l’antica arte della memoria, che risale a circa 2.500 anni fa, richiede un impegno profondo — quello che gli psicologi contemporanei definiscono «codifica elaborativa». Si tratta di collocare le informazioni in un contesto, comprendere il loro significato, associarle alla rete di altri concetti che abbiamo in mente. Ricordare richiede tempo, impegno e concentrazione. Tempo, fatica, concentrazione: tutte cose che troppo spesso ci mancano. Siamo bombardati da informazioni e siamo diventati dei colabrodo che catturano solo minime particelle di quel che gli piove addosso, mentre il resto scorre via. Ogni giorno sembra che ci siano più blog da seguire, più riviste da leggere, libri da conoscere, informazioni che ci distraggono. Mentre il flusso di queste informazioni continua a crescere, diventa sempre più difficile essere adeguatamente informati. (…)
L’incapacità cronica e diffusa di ricordare è una caratteristica della nostra cultura, ed è così radicata che la consideriamo un dato di fatto. Ma non è sempre stato così. Una volta, molto tempo fa, la sola cosa che si poteva fare dei pensieri era ricordarli. Non c’era un alfabeto in cui trascriverli, carta su cui fissarli. Tutto quel che volevamo conservare doveva essere memorizzato. Ogni storia che si voleva raccontare, ogni idea che si desiderava tramandare, informazione che si intendeva trasmettere, doveva anzitutto essere ricordata.
Oggi abbiamo le fotografie per registrare le immagini, i libri per immagazzinare la conoscenza, e recentemente, grazie a Internet, per accedere alla memoria collettiva dell’umanità ci basta tenere a mente gli opportuni termini di ricerca. Abbiamo rimpiazzato la memoria naturale con un’ampia sovrastruttura di puntelli tecnologici che ci hanno liberato dall’onere di immagazzinare le informazioni nel cervello. Queste tecnologie che esternalizzano la memoria e raccolgono la conoscenza al di fuori di noi hanno reso possibile il mondo moderno, ma hanno anche cambiato il modo in cui pensiamo e in cui usiamo il cervello. Abbiamo dato meno importanza alla nostra memoria interna. Non avendo quasi più bisogno di ricordare, a volte sembra che ci siamo dimenticati come si faccia. Vorrei soffermarmi un momento su come questa situazione si sia venuta a creare. Come siamo arrivati a salvare le nostre memorie ma a perdere la nostra memoria?
Vivendo in mezzo a un fiume di parole stampate (solo ieri, ad esempio, sono usciti quasi 3.000 nuovi libri), è difficile immaginare cosa fosse la lettura prima di Gutenberg, quando un libro era un oggetto scritto a mano, raro e costoso, che richiedeva a un amanuense mesi di lavoro. Oggi scriviamo per non dover ricordare, ma nel tardo Medioevo i libri non erano considerati solo sostituti, ma anche aiuti della memoria. Ancora nel Quindicesimo secolo potevano esserci solo poche decine di copie di un dato testo, e molto probabilmente erano incatenate a una scrivania o a un leggio in qualche biblioteca, che se conteneva un centinaio di altri libri sarebbe stata considerata assai ben fornita. Gli studiosi sapevano che dopo aver letto un libro molto probabilmente non lo avrebbero mai più visto, avevano quindi un forte incentivo a ricordare quel che leggevano con grande impegno. Sui testi si ruminava, masticandoli, rigurgitandoli e rimasticandoli, e si arrivava così a conoscerli intimamente e a farli propri. Come scrisse Petrarca in una lettera a un amico: «Gustai la mattina il cibo che digerii nella sera: mangiai fanciullo per rugumare da vecchio; e tanto con loro mi addomesticai, talmente mi passarono, non dico nella memoria, ma nel sangue e nelle midolle». (…)
Oggi leggiamo libri «estesamente», senza una profonda concentrazione e, a parte rare eccezioni, li leggiamo una volta sola. Nella lettura anteponiamo la quantità alla qualità. Non abbiamo scelta, se vogliamo mantenerci aggiornati. Anche nei settori più specializzati, è una fatica di Sisifo cercare di dominare la montagna di parole che si riversa ogni giorno sul mondo. E questo significa che è praticamente impossibile fare uno sforzo serio per memorizzare quel che leggiamo. (…)
Si potrebbe sostenere che stiamo entrando in una nuova era nella quale avere una cultura profonda — possedere una mente ben coltivata e culturalmente attrezzata — non ha più l’importanza di una volta. Uno studio pubblicato all’inizio di quest’anno sulla rivista «Science» ha dato molta soddisfazione agli esponenti di quell’intellighenzia che, dall’altra parte dell’Atlantico, denuncia regolarmente gli effetti negativi che Internet ha sul nostro modo di pensare. Una serie di esperimenti condotti dai ricercatori della Columbia University ha dimostrato che quando impariamo delle nozioni che sappiamo essere anche immagazzinate nella memoria di un computer, il nostro rapporto con esse cambia. Quando sappiamo che qualcuno ricorda per noi, investiamo meno nell’atto del memorizzare. Per chi passa il tempo a navigare sul Web saltando da un argomento all’altro, facendo delle pause per controllare la posta e i risultati sportivi, questo è diventato il modo principale di acquisire informazioni. Leggiucchiamo, scorriamo pagine web, guardiamo qua e là distrattamente, senza grande impegno. E dimentichiamo.
«Google ci sta rendendo stupidi?» ha chiesto un giornalista televisivo. «Ci sta rovinando i ricordi?» ha domandato un altro. E se così fosse, sarebbe poi tanto grave?
Queste discussioni sono molto più vecchie di Google. Abbiamo usato un mezzo tecnologico per registrare all’esterno i nostri ricordi fin da quando il primo uomo ha spalmato del colore sulla parete di una caverna. (…)
Abbiamo fatto molta strada, dal temere la scrittura al preoccuparci di Google. Oggi credo che saremmo tutti d’accordo sul fatto che Socrate stava esagerando. Avendo convissuto con la scrittura per alcuni millenni, siamo più inclini a vederne i vantaggi che le insidie. Penso però che nei timori di Socrate si possa riconoscere un problema attuale.
Ai giorni nostri, quando ci troviamo di fronte a nozioni che non conosciamo o a una domanda per la quale cerchiamo una risposta, tiriamo fuori lo smartphone e avviamo una ricerca. Abbiamo tutta la conoscenza collettiva della civiltà umana — o, almeno gran parte di essa — a portata di pollice. O anche più vicino. (…)
Usiamo sempre più spesso qualche dispositivo come fosse un obiettivo attraverso il quale confrontarci con il mondo e mediare il rapporto con la realtà. La prossima tappa di questa escalation tecnologica sarà la realtà aumentata, una tecnologia che sta cominciando a essere adottata da un numero crescente di applicazioni mobili, e che molti credono sia destinata a trasformare i computer da cose che abbiamo a cose che indossiamo. L’iPhone 5.0 sarà un dispositivo con cui interagire con la voce e le dita, ma l’iPhone 20.0 sarà come un paio di occhiali e l’iPhone 50.0 potrebbe benissimo essere in grado di canalizzare le informazioni direttamente nella nostra corteccia cerebrale. Invece di dover comunicare indirettamente con le nostre memorie esterne, esse faranno sempre più parte integrante del modo in cui percepiamo il mondo e ne facciamo esperienza, ampliando automaticamente i nostri pensieri e le nostre percezioni con una vasta gamma di informazioni e una sempre maggiore potenza di elaborazione.
Questo futuro bionico potrebbe sembrare fantascienza, ma in realtà è la visione dei fondatori di Google. Larry Page ha detto che attende con impazienza il giorno in cui il suo prodotto sarà inserito direttamente nel cervello umano. (…)
Un giorno, nel futuro bionico che Larry Page e Sergey Brin prefigurano, quando la nostra memoria interna ed esterna si fonderanno completamente, arriveremo a possedere una conoscenza infinita. E sembrerà fantastico. Ma la cosa più importante da ricordare è che la conoscenza infinita non coincide con la saggezza.
(Traduzione di Maria Sepa)
0 comments