Quando Olocausto è l’incubo che non passa

ERINNERUNG In palcoscenico due donne che cercano di mascherare l’orrore vissuto

ERINNERUNG In palcoscenico due donne che cercano di mascherare l’orrore vissuto ROMA. Nasce come una sorta di preparazione alla giornata della memoria questa nuova edizione di Erinnerung (al Teatro Due fino al 29 gennaio) che l’autore Gianni Guardigli ha deciso di riprendere, curandone egli stesso la regia e scandendolo nei tempi di due attrici che impersonano i due testi diversi e complementari, La sorvegliante e Il compleanno. Due donne a parlare, ognuna per suo conto, ognuna dietro agli incubi della propria memoria: Erinnerung del resto vuol dire ricordo e anche memoria. E l’oggetto di questo esercizio è il medesimo, orribile, l’Olocausto. Una ricorda mentre stira e si affaccenda in casa, sovrastata da un enorme armadio incombente, la sua doppia vita, la scelta estrema di esser divenuta guardiana del lager dove altre creature venivano portate a morte. Con le loro dolorose debolezze, e la sua fasulla sicurezza, mentre attorno a una patata da contendersi o un contatto da evitare, la mente umana si ingegna a mascherarsi l’orrore della verità. È quello che succede, ma in qualche modo rovesciato, alla protagonista dell’altro monologo, una donna borghese che ossessivamente ricorda, e maneggia e distorce, il giorno del suo compleanno, uno in particolare, quello in cui tutta la sua famiglia venne deportata verso i lager. Ora l’armadio è aperto, con il suo carico affastellato di oggetti inutili e curiosi, un ciarpame che pure ancora incarna le sembianze di quell’incubo lontano. Tra manie e deliri che si fanno comportamenti, così come la passione civile di Guardigli si fa conoscenza profonda di esistenze femminili.
Con pudore che pure non nasconde il coraggio, Erinnerung diventa oggi un grido, anzi un doppio urlo, contundente come un sasso, per chi vorrebbe ora rimuovere e dimenticare. Non si possono invece dimenticare quelle due prove d’attrice, inquietanti quando non lancinanti, che «reinventano» una quotidianità ormai irrimediabilmente malata per il trauma di ognuna. Sulla bella scena domestica e fobica di Claudia Calvaresi, Michela Martini la sorvegliante, e Dorotea Aslanidis la «festeggiata», quasi tirano le fila della loro densa storia di attrici. Martini all’apparenza svagata, quasi che ancora non veda l’orrore compiuto, Aslanidis aggressivamente volitiva. Facce entrambi tragiche di un male che ha macchiato indelebilmente un secolo. E che rende quasi inaudibile, per pudore, la partitura musicale (di Claudio Junior Bielli) che sul palcoscenico scandisce la vita e l’orrore perpetuo delle due donne.

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