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L’utopia di Stoppard

Il kolossal di Cescon e Giordana per raccontare la nascita del ‘900.  Più di 30 attori, altrettanti tecnici, quasi 80 personaggi, 66 cambi di scena, 400 costumi, 1200 provini visionati, per mettere in scena in Italia, dopo Londra, New York e Tokio, “The coast of Utopia”. L’utopia è sempre necessaria. L’irraggiungibile non deve mai smettere di farci sognare, inventare, azzardare. So di aver fatto il passo quasi più lungo della gamba, di avere anche esagerato a a proporre un lavoro così. Ma sono felice 

Il kolossal di Cescon e Giordana per raccontare la nascita del ‘900.  Più di 30 attori, altrettanti tecnici, quasi 80 personaggi, 66 cambi di scena, 400 costumi, 1200 provini visionati, per mettere in scena in Italia, dopo Londra, New York e Tokio, “The coast of Utopia”. L’utopia è sempre necessaria. L’irraggiungibile non deve mai smettere di farci sognare, inventare, azzardare. So di aver fatto il passo quasi più lungo della gamba, di avere anche esagerato a a proporre un lavoro così. Ma sono felice 

ROMA. Più di 30 attori (età media 35 anni), altrettanti tecnici, quasi 80 personaggi, 66 cambi di scena, 400 costumi, 1200 provini visionati. Non si tratta di un film, ma di uno spettacolo serio e mastodontico sulla nascita (intellettuale, non politica) delle ideologie nel XIX secolo, ad opera di talenti irrequieti russi. Un allestimento in tre episodi, ognuno della durata, qui da noi, di due ore e mezza. Un´unica formidabile impresa di teatro. Dopo il battesimo a Londra del 2002 con tre serate “storiche” per complessive nove ore, e dopo altre due puntate – una versione superpremiata americana a New York e un´altra a Tokyo – l´odissea-capolavoro The coast of Utopia (La sponda dell´utopia) di Tom Stoppard, autore di culto del teatro e sceneggiatore di film come L´impero del sole e Shakespeare in love, è ora nel pieno del lungo lavoro di prova (tre mesi e mezzo di cantiere: sforzo temerario, in questa crisi) per dare alla luce un´attesa edizione italiana con messinscena d´un regista specializzato in sguardi epocali, Marco Tullio Giordana. Il lavoro, una trilogia suddivisa nei tre titoli Viaggio, Naufragio e Salvataggio, ripercorre 33 anni di vicende dell´intellighenzia ottocentesca russa (dal 1833 al 1865) in esilio in Europa, con primi piani dell´anarchico Bakunin, dello scrittore-filosofo Herzen, di Turgenev, e del critico letterario Belinsky. L´avventura è coprodotta da Michela Cescon (coinvolta solo in un piccolo ruolo) che s´è battuta per l´idea e per lo spettacolo, e da due stabili, lo Stabile di Torino e il Teatro di Roma, con relativi spazi (il Carignano di Torino dal 20 marzo all´1 aprile, e l´Argentina di Roma dal 10 al 29 aprile) che s´aprono all´evento mondiale di una commedia umana e di idee.
«Marco Tullio Giordana ha impiegato solo un giorno e mezzo per dirmi “Ci sono, ci sto” – introduce Michela Cescon – e io, sì, sono consapevole d´aver messo in moto la macchina acquistando i diritti della trilogia nel 2009, perchè sentivo la voglia di un rilancio che rimettesse al centro la figura dell´attore, e mi ero convinta che dovevo partecipare ai rischi con una società mia, di nome Zachar come il servo di Oblomov. Poi ho via via ottenuto i “sì” di Martone e della Christillin per Torino, e quello del Teatro di Roma. E so di aver fatto il passo quasi più lungo della gamba, di avere anche esagerato a impegnarmi e a proporre un lavorone come The Coast of Utopia, so d´aver suscitato sorrisi e scetticismi, ma ho pure avuto solidarietà, tanto da superare i crescenti problemi dei tagli economici, facendo quadrare i conti con un cast più ristretto. E dopo che nella trilogia mi sono contenuta in una parte di governante al servizio di due bambine di 4 e 6 anni che poi sono le mie figlie, ho già l´idea di una successiva produzione più minuta e più focalizzata su di me, affrontando nel 2013 il testo Good people di David Lindsay -Abaire».
Accanto a lei, l´atteggiamento di Marco Tullio Giordana è quello di un cosciente e dotato capitano di una nave che trabocca di passeggeri-attori, convintissimo della rotta offerta dalla drammaturgia, fiero del piroscafo-allestimento che sta varando. «Tutta la fase progettuale di questo spettacolo mi stimola, mi infervora – dichiara il regista – mi piace moltissimo misurarmi con gli antefatti della Rivoluzione quando i protagonisti erano in origine scrittori e poeti. È proprio vero che un Paese senza letteratura non esiste. Lì l´utopia di un futuro migliore suonava necessaria, come lo è sempre, in qualunque epoca, anche la nostra, anche in Italia, malgrado il pericolo di un fallimento, e infatti noi attraverso Stoppard li accompagniamo a una sconfitta del loro pensiero. Ma tant´è. L´irraggiungibile non deve mai smettere di farci sognare, inventare, azzardare. E il bello di questa epopea di energie e di dispersioni è che non prevale mai un discorso, un teorema ideologico. La grande risorsa di Stoppard sono le parole alte alternate continuamente agli avvenimenti umani della vita».
Certo, ci sarà da fare i calcoli con i tanti ostacoli di scene non cronologiche, con sfondi che mutano di colpo da un interno a un esterno, da una nazione all´altra. «È una sfida che affronto avvalendomi solo di segni, di sintesi, di astrazioni scenografiche. Potrei anche inserire delle brevi proiezioni, o delle diapositive, ma non voglio che si dica che porto il mio abituale mestiere cinematografico a teatro». E poi c´è la massa degli attori, una risorsa che per certi versi entusiasma ancora di più Giordana. «La distribuzione è diventata sempre più fluida e giovane, ed è giusto che sia così: gli attori di nome forse non hanno bisogno di me, e in questo periodo nero è quasi più opportuno pescare nel nuovo. Poi gli interpreti che sono all´incirca trentenni sono ideali per sottoporsi alle parabole dei personaggi dai venti ai cinquant´anni».
Il testo di Stoppard, che nella sua estensione invoglierebbe a tagli, trova in Giordana un esecutore meticoloso. «Sì, sono un po´ un musicista con uno spartito, e ne adotto tutte le tonalità. Mi interessa solo che il pubblico abbia una scansione calma delle tre serate (a Torino ogni pezzo della trilogia si replicherà per due sere con sequenza a circuito chiuso, a Roma ognuna delle tre settimane sarà riservata a una delle tre pièce, n.d.r.)». E con gli attori? «Chiedo massima naturalezza, ogni punto un respiro, nessuna predica. Ho dovuto evitare gli attori anche bravi ma dotati di inflessioni. Per fare i russi che parlano straniero in Europa ci voleva un italiano semplice, lineare».

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