«La quinta colonna di Gheddafi»

LIBIA/TORTURE  La situazione interna alla «nuova» Libia rischia di uscire di controllo. Ieri facevano cento giorni dalla fine del regime gheddafiano e dal linciaggio di Gheddfi e gli organismi internazionali di difesa dei diritti umani – l’Onu, Amnesty , Human Rights Watch , la Croce rossa, Medici senza frontiere (Msf) – non possono tacere quanto vedono accadere nel paese dopo la sua «liberazione».

LIBIA/TORTURE  La situazione interna alla «nuova» Libia rischia di uscire di controllo. Ieri facevano cento giorni dalla fine del regime gheddafiano e dal linciaggio di Gheddfi e gli organismi internazionali di difesa dei diritti umani – l’Onu, Amnesty , Human Rights Watch , la Croce rossa, Medici senza frontiere (Msf) – non possono tacere quanto vedono accadere nel paese dopo la sua «liberazione».

Migliaia di «gheddafiani» veri o presunti e di veri o presunti «mercenari» sub-sahariani rinchiusi in centri di detenzione ufficiali o «particolari» (almeno 8500 secondo l’Onu, 15 mila secondo altre stime); «torture, esecuzioni extragiudiziali, stupri sia di uomini sia di donne» (parole di Navi Pillay, la responsabile del Consiglio dell’Onu per i diritti umani), milizie armate che imperversano senza che nessuno sia in grado di metterle a freno (e tantomeno disarmarle). Un quadro desolante e agghiacciante che il Consiglio nazionale transitorio non può o non vuole controllare e su cui è calato un silenzio tombale di governi e personalità occidentali che hanno spinto e partecipato alla «operazione umanitaria in difesa dei civili» minacciati a suo tempo da Gheddafi (qualcuno ha più sentito la voce dei crociati francesi Sarkozy o Henry Levy?). Nel silenzio distratto del segretario generale dell’Onu, Ban Kimoon, Navi Pillay ha lanciato ieri l’ennesimo (e inutile) appello al Cnt di Abdel Jalil perché prenda il pieno controllo di «tutte» le prigioni del paese. La situazione sembra particolarmente orribile a Misurata, «la città martire» che ha resistito per mesi all’assedio martellante dei gheddafiani. Venerdì Amnesty international è tornata a denunciare che non solo a Misurata ma soprattutto a Misurata «la tortura è praticata da militari ufficialmente riconosciuti come tali e da organismi di sicurezza così come da una moltitudine di milizie armate che operano al di fuori di qualsiasi ambito legale». La gente che lavora al centro di detenzione di Misurata ha detto al giornalista della Bbc che è riuscito a entrarvi, di essere perfettamente al corrente che i detenuti sono presi e portati via, in altre prigioni, per essere torturati, «ma che non è in grado di fermare» queste attività. La maggior parte dei centri di detenzione (e di tortura) sono sotto il controllo di milizie di fuori del controllo del governo, ossia del Cnt. Una pratica, quella della «tortura, esecuzioni extragiudiziarie e strupri sia sugli uomi che sulle donne» che appare sistematica tanto da spingere, qualche giorno fa, un’organizzazione come Medici senza frontiere (che restò presente e operativa a Misurata nei giorni più tremendi dell’assedio) a chiamarsi fuori dalla citt à dopo aver constatato de visu la situazione descritta dalla responsabile Onu per i diritti umani, e l’impossibilità di fare qualcosa per fermarla. Ma forse non si tratta solo della impossibilità e/o incapacità del Consiglio nazionale transitoriozione di trovare un rimedio e di affermare la sua autorità su milizie riottose e armatissime. Sapete cosa ha risposto alla Bbc Ibrahim Beitelmal, il capo del Consiglio militare di Misurata quindi un’autorità «ufficiale» – di fronte a queste accuse circostanziate e diffuse? Ammettendo al massimo l’esistenza solo di «pochi casi», negando una sua responsabilità in qualsiasi degli abusi denunciati contro i detenuti, sostiene che in realtà «gli accusatori» hanno «un’agenda nascosta»: «Credo che la gente che lavora al riparo degli organismi per i diritti umani o i dottori di Medici senza frontiere siano una quinta colonna di Gheddafi». Capito bene? «Una quinta colonna di Gheddafi». Quindi…

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