Le analisi politiche e le ricerche sociologiche sui nuovi movimenti tendono a porre l’inizio dell’antagonismo al 30 novembre 1999, giorno degli scontri di Seattle durante il primo vertice dell’Organizzazione Mondiale del Commercio (Wto). Quell’evento è un momento importante ma è l’inizio di una nuova fase e l’emersione di qualcosa che comincia prima e che bisogna conoscere se si vuole capire la natura dell’attivismo presente.
Le analisi politiche e le ricerche sociologiche sui nuovi movimenti tendono a porre l’inizio dell’antagonismo al 30 novembre 1999, giorno degli scontri di Seattle durante il primo vertice dell’Organizzazione Mondiale del Commercio (Wto). Quell’evento è un momento importante ma è l’inizio di una nuova fase e l’emersione di qualcosa che comincia prima e che bisogna conoscere se si vuole capire la natura dell’attivismo presente. I movimenti non nascono come le lumache, dalla sera alla mattina, e non sono morti se d’improvviso non sfilano più nelle strade o non riempiono le piazze. Tralasciando le radici più lontane, l’antagonismo mondiale ha il suo retroterra in una serie di movimenti culturali e sociali nati nel secondo dopoguerra: le manifestazioni anti-bomba, la generazione beat e hippy, il sostegno alle lotte anti-coloniali, il ’68 degli studenti e degli operai, la denuncia della guerra in Vietnam, l’esplosione del neo femminismo negli anni Settanta, il ’77 dei giovani già diretti verso il precariato odierno in Italia, la contestazione dei missili nucleari di Usa e Urss in Europa e la riscoperta della nonviolenza, la diffusione di una domanda di spiritualità che rinnova i viaggi in Oriente e, infine, l’ambientalismo con la difesa della natura al centro dell’antagonismo eco-solidale. Il cambiamento di stili di vita individuali e collettivi, i rapporti Nord-Sud, i gruppi, le associazioni e le comunità, le Reti che daranno vita agli eventi di Seattle si sedimentano intorno agli anni ’70-’90, con una comunanza di vedute tra Nord e Sud pur nelle differenze dei contesti sociali. Nei Paesi industrializzati idee e pratiche sono centrate soprattutto sul cambiamento di agricoltura, alimentazione, salute e energia. Greenpeace, Friends of the Earth, Lega ambiente, una miriade di gruppi locali, i neonati partiti verdi difendono il territorio e i beni comuni planetari – aria, acqua, terra – degradati da speculazione e inquinamento. Al Sud le comunità tribali lottano per la difesa dei commons da cui dipende la loro sopravvivenza. Risveglio indigeno in America latina, che in Messico porterà all’insurrezione anti liberista del subcomandante Marcos e alle Costituzioni che riconoscono i diritti della natura in Ecuador e Bolivia. Ritornano a farsi sentire i contadini. Al centro delle battaglie c’è la critica allo sviluppo e il debito del terzo mondo, ritenuti responsabili del degrado ambientale e della povertà. Sotto accusa le grandi opere della Banca mondiale e i piani del Fondo monetario internazionale, le cui riunioni annuali verranno contestate da controvertici. Si segue criticamente l’Uruguay Round, la trattativa sul commercio internazionale. Nord e Sud fanno rete per il sostegno alle lotte locali e alle campagne per salvare le foreste tropicali e la biodiversità, per combattere le piogge acide e la lacerazione della fascia d’ozono. Gli attivisti s’incontrano fisicamente nei vertici mondiali e in appuntamenti auto organizzati. Si comincia a creare un’altra economia. Il WorldWatch studia lo stato del pianeta e le alternative possibili. Gli ecoistituti e i centri di ricerca ecologici fioriscono e così le “utopie concrete”. Il summit deludente su ambiente e sviluppo di Rio de Janeiro nel ’92 sancirà la fine di questa fase ma non dell’impegno, che diventerà dichiaratamente anti-globalizzazione dopo la nascita del Wto, nel 1995.
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