Le passioni propulsive di un grande musicista

COMMIATI Il contrabbassista Stefano Scodanibbio si è spento lunedì in Messico a soli 55 anni 
Ha conosciuto e suonato con il gotha dello strumentismo internazionale. Ha scritto musica, insegnato e collaborato con Luigi Nono e John Cage

COMMIATI Il contrabbassista Stefano Scodanibbio si è spento lunedì in Messico a soli 55 anni 
Ha conosciuto e suonato con il gotha dello strumentismo internazionale. Ha scritto musica, insegnato e collaborato con Luigi Nono e John Cage
Era bello, pieno di vita, straordinario nel suonare il suo contrabbasso, amava gli amici e ne aveva ovunque, fumava gioiosamente, preferibilmente gli Avana dei Caraibi, beveva volentieri whiskey, viveva a pochi minuti da Macerata in un paesino tranquillo, Pollenza, una comunità direi, ma era spesso via, richiesto in ogni dove per la sua musica. Solo per i viaggi più brevi rinunciava alla compagnia della giovane, avvenente moglie, Maresa, come lui affatto benvoluta nel mondo musicale.
Ma quando la provvidenza s’accorge di te, non c’è quasi più nulla da fare. Se n’è andato dopo meno d’un anno di malattia: una incurabile sclerosi multipla. Ha scelto di finire i suoi giorni in Messico, dove ogni anno da tempo passava alcuni mesi invernali, con musicisti e amici del posto e concerti. Ha fatto molta fatica, lui che già non stava più in piedi, che a Pollenza aveva cambiato casa, lasciando il suo secondo piano in centro per un pianoterra con giardinetto in periferia, ha fatto un sacrificio, ma è fuggito da questo insopportabile paese di bigotti integralisti, capace d’obbligarti a soffrire sub specie aeternitatis per asservimento alla natura, cioè al loro dio. Quando seppi, meno d’un mese fa che se n’era andato costà, pensai subito a un viaggio di salvezza, ché m’aveva detto che la vita è sì un bene, ma non a qualsiasi condizione.
Stefano Scodanibbio – di questo caro amico il mondo della musica, e non solo, piange la scomparsa – era nato a Macerata nel 1956. Al contrabbasso era arrivato piuttosto tardi, ma applicandosi e studiando con Fernando Grillo, altro gioiello della musica italiana pressoché ignorato, procedeva con gli stivali delle sette leghe. Con Fausto Razzi e Salvatore Sciarrino studiava musica, giusto per non essere semplicemente un virtuoso.
Ha conosciuto e suonato con il gotha dello strumentismo mondiale. A Macerata ha regalato un festival che avrebbe brillato in una capitale del mondo: Pechino, Sydney, New York, Berlino, Parigi, ma che in quel borgo selvaggio marchigiano non trovava mai, se non all’ultimo momento, l’impegno degli amministratori locali, i politici in tutt’altre faccende affaccendati, e il modo di far quadrare i conti. Soprattutto non trovava che un minimo pubblico, improvvisamente cresciuto con un paio di cicli dedicati alla musica del Novecento negli Usa, da Ives, a Cage ai minimalisti. Stefano lo sapeva benissimo, lo diceva tranquillamente, che due momenti del secolo musicale avevano un appeal capace di presa: l’espressionismo dodecafonico e il minimalismo, il ripetitivismo. Lui aveva insegnato anche a Darmstadt e trovava difficile allontanarsi dall’idea della Nuova Musica, ma alla fine, diventata anch’essa un genere, e ormai obsoleto, era andato verso quei modelli di spontaneismo, se volete, ingenuo, ma capace di dialogare col pubblico, non scienza delle costruzioni, ma emozione.
Alla fine il teatro Rossi s’era anche riempito, sicché si festeggiava al Pozzo (dove probabilmente saranno in lutto).
Ma già due anni fa, nella Rassegna di Nuova Musica (così si chiamava il festival), Stefano appariva piuttosto stanco. Venne da attribuire la cosa alle conseguenze di una malattia piuttosto grave di Maresa (anche lei per un po’ sotto lo sguardo della provvidenza, ma non sua vittima), ma l’anno scorso non lo si vide proprio in teatro. La reticenza di tutti lasciò trapelare assai poco, anche perché Scodanibbio seguiva sera per sera i concerti in collegamento tramite Skype o una qualche diavoleria del genere. Lo salutai tramite informatica, ma poi lo incontrai a Pollenza. Due contrabbassisti in cartellone per la Rassegna andavano a lezione da lui che ormai non maneggiava più per nulla il suo archetto mobile «à la Scodanibbio», così battezzato da Luigi Nono – del cui fantastico gruppo di performer egli faceva parte, assieme a Giancarlo Schiaffini, per ricordarne un altro – e successivamente celebrato da John Cage. Credo sia l’unico musicista italiano il cui nome appare in uno scritto di Cage, valga quel che vale l’annotazione.
Ha scritto anche non poca musica, per lo strumento, per teatro da camera, per organici vari. Oltre agli studi per contrabbasso, limpidi come se di J.S. Bach, ha collaborato con Berio, modificando per contrabbasso la sua sequenza per violoncello, con Sanguineti, registrando Postkarten e i Visas per Vittorio Reta, due edizioni limitate, col quartetto Arditti, con Markus Stockhausen e decine di splendidi solisti, giocando infine anche con le canzoni, tra le quali da ricordare Besame mucho, canzone prediletta da Sanguineti, stando a quanto Stefano mi raccontò, da lui «riscritta», registrata dal Quarteto latinoamericano in un cd intitolato encores, della Dorian.

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