Le donne argentine risolvono i misteri

Intervista a Claudia Pià±eiro, autrice del rosa-poliziesco “Betibù”.  “In Sudamerica nessun lettore si fiderebbe di un poliziotto che indaga”

Intervista a Claudia Pià±eiro, autrice del rosa-poliziesco “Betibù”.  “In Sudamerica nessun lettore si fiderebbe di un poliziotto che indaga”

Al pari di altri autori della sua generazione intenti a rinnovare la tradizione della novela policial latinoamericana, l´argentina Claudia Piñeiro scrive romanzi che non sono specificatamente dei gialli ma usano gli ingredienti fondamentali del genere, ad esempio il delitto e l´indagine, come strumenti narrativi per parlar d´altro. Nel caso di Betibú (Feltrinelli, traduzione di Pino Cacucci, pagg. 304, euro 17), un ibrido tra romanzo sentimentale e d´investigazione come lo era Tua, uscito l´anno scorso, ma pieno di humour, alcune morti apparentemente accidentali, e l´oscuro segreto che si portano appresso, rappresentano lo sfondo per un ritratto dei media e della loro relazione con il potere, che conduce il lettore a riflettere se il giornalismo sia ancora un´arma adeguata. La lezione di Rodolfo Walsh (l´autore di Operazione massacro) – «se non c´è giustizia, che almeno ci sia verità» –, più volte evocata, sorregge moralmente le indagini di un trio improvvisato composto da un vecchio giornalista della cronaca nera, un´ex regina del poliziesco (la Betibú del titolo, sublimazione della scrittrice stessa) e un novellino della carta stampata che ben conosce però la Rete. «L´assassino oggi non è un uomo solo – sostiene la Piñeiro – può essere una corporazione, un governo, un paese intero. La responsabilità del delitto è condivisa fra tutti quelli che lo hanno reso possibile e rende molto difficile puntare il dito contro una sola persona e dire “è stato lui”».
In esergo lei cita Ricardo Piglia e il suo modello di poliziesco paranoico. Lo è anche Betibú?
«Trovo questa idea per cui le indagini non hanno fine, per cui tutti sono sospettati e tutti si sentono indagati, estremamente intelligente. Mi è stata molto utile mentre scrivevo e spero che il romanzo contenga qualcosa che lo inquadri in questo sottogenere perché ammiro Piglia e le sue teorie sulla letteratura».
Come mai ben poca parte è dedicata all´investigazione vera e propria?
«Nel mondo reale la vita si ferma forse per cercare chi ha commesso un delitto o un crimine? No, le persone che indagano hanno una famiglia, i loro problemi, soffrono per amore e vivono tutte le altre cose che vivono le persone normali. E così anche i miei personaggi».
Betibú è soprattutto un libro sul mondo della carta stampata e sul giornalismo partecipativo.
«In Argentina questo è un tema di grande importanza, ormai entrato nel dibattito culturale. Chi vuole avere una valida opinione non legge solo un giornale. Le persone, quando e se vogliono farsi un´idea di cosa sta succedendo, leggono più giornali per capire diversi punti di vista e svilupparne poi uno personale».
Di Assange e del lavoro svolto da WikiLeaks che cosa pensa?
«Ci sono nuovi e rivoluzionari metodi di fare informazione, bisogna guardarli con rispetto ma bisogna anche dubitarne. Credo che sia troppo presto per avere un´idea chiara della situazione. Ci vorrà del tempo per conoscere veramente i pro e i contro di questo tipo di informazione».
I Nordamericani sostengono che il giornalismo sia il cane da guardia della democrazia.
«Le persone nel Nord America hanno molta più fiducia che nel Sud dell´America. Ad esempio, il movimento degli Indignados negli Stati Uniti è arrivato molto tempo dopo quello di altri paesi. Gli statunitensi credevano nelle banche, nelle istituzioni, nel giornalismo. Credevano in molte cose in cui noi abbiamo smesso di credere anni fa. Io ho fiducia ma sono sempre molto cauta. Alla fiducia faccio precedere sempre un´analisi critica».
Quante cose si è scambiata con la sua protagonista Betibù?
«Le ho dato molte delle mie fantasie e delle mie paure. Le sue avventure non sono realmente accadute a me, ma nei suoi pensieri ci sono aspetti, sentimenti, vicende da cui io stessa sono spaventata ed altre cose a cui spesso penso dicendo “che cosa succederebbe se…?”».
Ad un certo punto nel romanzo compare una lista: Saramago, Cortázar, Piglia, Murakami, Bolaño.
«Se fosse stata la mia lista avrebbe certamente incluso Coetzee, David Lodge, Manuel Puig. Nonostante queste assenze sono scrittori che apprezzo molto. Mi piacciono la prosa di Saramago, il mondo creato da Cortázar, la chiarezza di Piglia e Bolaño».
Nel poliziesco scandinavo l´investigatore rappresenta spesso la Ratio, la ragione che ricostruisce un ordine, che dà un senso a tutto. Per lei invece?
«In America Latina abbiamo un problema di credibilità. Se, ad esempio, scelgo di usare come investigatore un poliziotto molti lettori non si fideranno. Tanti anni di corruzione, dittatura e altri eventi che hanno coinvolto i governi, ci hanno resi diffidenti, è difficile creare un detective credibile che provenga da un´istituzione come polizia o esercito. È possibile ma molto raro. Gli scrittori devono guardare ad un altro tipo di investigatore, devono guardare ai giornalisti, agli scrittori, alle donne che lavorano a casa e persone simili. È diverso in Italia?».

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