La risonanza degli sguardi

A teatro. In un libro Vito Di Bernardi rilegge il percorso di Virgilio Sieni, danzatore e coreografo che ama sconfinare tra generi e nuovi linguaggi per ampliare la nostra percezione

A teatro. In un libro Vito Di Bernardi rilegge il percorso di Virgilio Sieni, danzatore e coreografo che ama sconfinare tra generi e nuovi linguaggi per ampliare la nostra percezione

Spazio e corpo sono i due termini in gioco per l’artista fiorentino che aspira alla ricerca di una speciale «misura», con l’aiuto della tragedia greca e di Claude Lévi Strauss. I suoi spettacoli inglobano arte visiva, filosofie orientali e improvvisazione La densità di una ricerca nella danza e nella sua relazione con le altre arti, la pregnanza di un’indagine sul gesto condotta con danzatori professionisti, ma anche con bambini, anziani, non vedenti, la sottigliezza del rapporto nello spettacolo con i temi di ispirazione, dalla tragedia greca alla fiaba, da Lucrezio a Claude Lévi-Strauss, fanno di Virgilio Sieni il coreografo di maggior riferimento della danza italiana contemporanea. Un percorso iniziato alla fine degli anni Settanta, che è valso lo scorso dicembre al coreografo fiorentino l’assegnazione del terzo Premio Ubu della carriera, dopo quelli conferiti nel 2000 e nel 2003. Premio Speciale così motivato: A Sieni, «non solo per il complesso del suo lavoro sul movimento, ma anche per la ricerca di nuovi linguaggi con interpreti non professionisti».
Un artista, Sieni, a cui si è accompagnata negli anni una feconda riflessione scritta. Vari i testi sull’artista. L’ultimo nato è Virgilio Sieni di Vito Di Bernardi. La pubblicazione fa parte dell’agile, quanto preziosa collana danceforward – interviste sulla coreografia contemporanea dirette per l’Epos di Palermo da Susanne Franco.
Di Bernardi, studioso e docente di Storia della danza e dello spettacolo all’Università di Siena, ha approfondito con Sieni questioni che ci rivelano aspetti decisivi della ricerca dell’artista. Sulla scorta del pensiero del maestro del teatro No giapponese Zeami, l’intervista propone una visione della danza come possibilità di ampliamento della percezione, di allenamento di uno sguardo doppio, interno e esterno. Sieni affronta il tema della «risonanza», del sentirsi, danzando, in una dimensione di sospensione, di ricerca delle origini, in una dimensione ondulatoria dell’energia. La percezione della densità del «momento» approda, nella messa a punto di uno spettacolo, a una speciale ricerca della misura. Un lavoro che include una continua ciclicità di eventi umorali, tecnici, emozionali, un’azione organica, fisiologica che influisce sulla macrostruttura dei lavori.
Sieni: «Bisogna captare il flusso dell’origine attraverso l’ascolto del luogo, dello spazio». Il rapporto tra danzatore e spazio diventa così questione dell’incontro tra due sospensioni, quella del corpo e quella del luogo. «Spazio e corpo interno si devono lasciare compenetrare e chi riuscirà a dare maggiore soffio metterà in moto la prima articolazione, la prima cosa apparirà ma sempre in forma sospesa». Questa visione determina l’approccio ai primi passi di uno spettacolo, quelle particolari scene d’apertura – si pensi al pavone di Tristi Tropici, al velo bianco della Natura delle cose – dei lavori di Sieni. Un indugiare sul contorno che fa resistere il corpo ad apparire nella sua immagine totale e che si imprime nello sguardo del pubblico, portandoci appunto in un tempo «sospeso».
Lo sconfinamento tra le pratiche del corpo differenti viene esplorato a partire dagli anni di formazione di Sieni, nei quali comprendere l’influenza sul pensiero e sul lavoro del danzatore e coreografo dell’arte visiva, della pittura, dell’happening, ma anche il rapporto con le arti marziali, la danza espressionista, la danza accademica, Merce Cunningham, il release, la contact improvisation. Una vicinanza, quella con Cunningham, visibile nella «decostruzione dello spazio», quella «grazia irregolare di uno spazio fatto pesare attraverso tutti i suoi margini e i suoi elementi periferici» (Sieni).
La ricerca più recente, centrale nel testo e condotta sia attraverso l’Accademia sull’Arte del Gesto, fondata a Cango – Cantieri Goldonetta di Firenze, e il progetto quadriennale Arte del gesto nel Mediterraneo, sia attraverso gli ultimi lavori con la compagnia come Tristi Tropici, fa luce infine sulla possibilità del corpo danzante di creare una riflessione che sia base di partenza di ogni antropologia. Un libro piccolo nella dimensione, quanto ricco nell’analisi.
Il testo di Di Bernardi è l’ultimo in ordine di uscita sul lavoro di Sieni, ma non è certo il solo: lo stesso coreografo fiorentino cura dal 2007 la formidabile Collana Il Gesto: 26 titoli pubblicati fino a oggi e quattro nuovi già annunciati, tutti realizzati con mirabile cura e amore della materia (testi bilingue, italiano/inglese) dalla casa editrice di Firenze Artout-Maschietto. Grande adagio popolare – quattro azioni coreografiche per quattro cenacoli fiorentini – (l’ultimo della serie, stampato nel novembre 2011) merita un’attenzione speciale.
Legato al progetto Arte del gesto nel Mediterraneo, il libro documenta dall’interno, aprendosi a innumerevoli riflessioni grazie a un luminoso saggio del critico Marinella Guatterini e all’introduzione del Direttore della Galleria degli Uffizi, Antonio Natali, quattro azioni coreografiche elaborate da Sieni nel luglio 2011 per i cenacoli di Ognissanti, San Salvi, Fuligno e Sant’Apollonia. Tredici uomini di etnie diverse per l’Ultima Cena, un danzatore non vedente e tre donne per la Deposizione, giovani e anziani per Visitazione, tre danzatrici di undici anni per Fuga sono gli interpreti di questo lavoro che testimonia ancora una volta la ricerca piena di stimoli dell’artista italiano. Così conclude Guatterini: «Le Quattro azioni coreografiche nei cenacoli fiorentini accendono la nostra ammirazione: fuggono dai significati prevedibili e ovvi e cercano invece un senso immediatamente anteriore o posteriore alla creazione dei cenacoli stessi; nella danza questo andirivieni assicura una pienezza espressiva indicibile del tutto originale». «Una particolare ‘inventio’ che gratifica tutta la danza contemporanea italiana».

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