Il giudice: con questi arresti si criminalizza il movimento

ROMA — «Premesso che le indagini erano legittime e doverose, perché i reati vanno accertati e perseguiti come impone la legge, ho la sensazione che questi arresti siano un ulteriore passo verso lo stravolgimento dell’intervento giudiziario: preoccupato sempre più di tutelare l’ordine pubblico che di accertare e graduare le responsabilità  individuali, che è invece il compito specifico dei magistrati».

ROMA — «Premesso che le indagini erano legittime e doverose, perché i reati vanno accertati e perseguiti come impone la legge, ho la sensazione che questi arresti siano un ulteriore passo verso lo stravolgimento dell’intervento giudiziario: preoccupato sempre più di tutelare l’ordine pubblico che di accertare e graduare le responsabilità  individuali, che è invece il compito specifico dei magistrati».
Livio Pepino, per quarantun’anni magistrato, è stato uno dei leader di Magistratura democratica ed è amico di lunga data del procuratore di Torino Gian Carlo Caselli, che ha sempre difeso dagli attacchi ricevuti nella sua carriera. E’ anche un convinto sostenitore del movimento No Tav, e prima di dire la sua sull’operazione per gli scontri in val di Susa ha voluto leggere attentamente l’ordinanza del giudice. Per giungere a questa conclusione: «Indipendentemente dalle intenzioni soggettive di chi l’ha gestita, penso sia un’operazione pericolosa, che contribuisce alla criminalizzazione di un intero movimento».
Perché questo giudizio così drastico, dottor Pepino?
«Perché, pur partendo dalla giusta prospettiva di isolare e prendere in esame le singole condotte illegali, il provvedimento che motiva gli arresti finisce per sconfinare in una sorta di previsione di responsabilità collettiva».
In che senso?
«La cattura per questi reati non è obbligatoria. Si poteva procedere contro gli indagati in stato di libertà. Ma per metterli in carcere sono state evidenziate delle esigenze che hanno a che fare, più che con i comportamenti individuali, con scelte e strategie dell’intero movimento. La probabilità che gli inquisiti commettano altri reati è, infatti, collegata con la circostanza che “il movimento No Tav ha pubblicamente preannunciato ulteriori iniziative per contrastare i lavori”. In altri termini: ci saranno altre mobilitazioni, e dunque nuove violenze. E’ un’equazione che non mi convince. Che rischia di favorire la criminalizzazione, appunto».
Ma non può essere che qualcuno approfitti delle manifestazioni indette con intenti pacifici per provocare violenze e disordini?
«Questa è la teoria dell’infiltrazione, che non credo sia esatta. Le persone arrestate, pur avendo le provenienze più diverse, sono quasi tutte ben conosciute in valle ed hanno partecipato alle altre manifestazioni. Non sono venute appositamente in quelle due occasioni per addestrarsi alle devastazioni o qualcosa di peggio, come pure ho letto in questi giorni. Piuttosto credo che il giudice abbia finito per assimilare comportamenti del tutto diversi tra loro».
Per esempio?
«Per esempio quando definisce “grave” l’afferrare per un braccio un operatore di polizia, come se fosse la stessa cosa che picchiarlo con un bastone. O il far parte di un gruppo di manifestanti che “accorrono con una paratia mobile” per intralciare la strada, ricollegando a questa singola azione addirittura le lesioni riportate da cinquanta agenti. Di più, dalla scena descritta nell’ordinanza scompare il lancio dei lacrimogeni da parte delle forze dell’ordine e si arriva a considerare i fazzoletti, gli occhialini, i limoni e persino il Maalox come strumenti propedeutici all’aggressione anziché come mezzi di semplice protezione».
Sta dicendo che anche le forze di polizia hanno commesso violenze?
«Questo non sta a me dirlo, e mi auguro che se è accaduto siano accertate e perseguite. Dico che è sbagliato considerare allo stesso modo isolate reazioni di rabbia e condotte aggressive organizzate, perché questo risponde a una logica di ordine pubblico che non riguarda il magistrato, bensì le forze di polizia e il governo. Altrimenti si snatura il ruolo del giudice. E questo mi preoccupa, perché è un fenomeno progressivo non solo italiano. Non dico che stavolta s’è passato il confine, ma è un altro passo in quella direzione».
Alcuni hanno parlato di «magistratura mafiosa», prendendosela direttamente con il procuratore Caselli, e sostengono che pure il coinvolgimento di qualche ex terrorista risponderebbe alla logica della criminalizzazione.
«Sono ovviamente giudizi che non condivido. Lo stesso procuratore ha voluto precisare che il terrorismo con questa vicenda non c’entra, i trascorsi di qualche singolo partecipante non hanno nulla a che fare con il movimento. I pericoli di una simile operazione sono quelli che ho cercato di esporre».
In ogni caso, per i motivi che dice lei, il suo amico Caselli stavolta ha sbagliato?
«Non ho titolo per impugnare la matita rossa e blu e sottolineare gli errori. Ma posso dire che si è trattato di una ricostruzione e di un’interpretazione delle norme che, seppur legittime, sono inadeguate a dare una lettura esatta e completa di ciò che è accaduto».
Giovanni Bianconi

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