Il fallimento delle politiche muscolari e l’alternativa

ROMA. La tolleranza zero lascia un cumulo di macerie sociali. Ora tocca a chi è stato attivo in questi anni provare a ricucire la società  Così come si era depositato fino a diventare un diffuso senso comune, l’armamentario ideologico securitario, tutta quella paccottiglia militaresca spacciata per modello di regolazione civile, si sta finalmente sbriciolando per manifesta e dimostrata pericolosità  sociale.

ROMA. La tolleranza zero lascia un cumulo di macerie sociali. Ora tocca a chi è stato attivo in questi anni provare a ricucire la società  Così come si era depositato fino a diventare un diffuso senso comune, l’armamentario ideologico securitario, tutta quella paccottiglia militaresca spacciata per modello di regolazione civile, si sta finalmente sbriciolando per manifesta e dimostrata pericolosità  sociale. Le prime avvisaglie erano affiorate fin dalla scorsa primavera a Milano, con il tonfo politico della signora Moratti, del suo furiere De Corato e della schiumosa ciurmaglia leghista, e anche a Napoli, grazie all’insperata irruzione di De Magistris, con la mancata affermazione della destra. E infine oggi, con l’impennata criminogena che colpisce Roma, mentre si va consumando ogni residua credibilità di Gianni Alemanno. Un sindaco asceso in Campidoglio anche per quell’impulso sdegnato che attraversò la città all’indomani di un feroce assassinio in una buia stazione ferroviaria, lo stesso sindaco che, per quanto paradossale, sta definitivamente concludendo la sua parabola in un quartiere di periferia, per un’analoga indignazione popolare, a causa di un altrettanto crudele delitto. Dopo anni di furenti e minacciosi proclami, dopo l’ossessiva giaculatoria sulla tolleranza zero, dopo avere autorizzato e in alcuni casi capitanato spedizioni e rappresaglie contro nomadi e baraccati, dopo aver sparso ronde e picchetti armati in ogni dove, ha finito per rendere più incattivita e intollerante la città che avrebbe dovuto custodire e confortare. Ora dice che Roma ha perso la pazienza: è vero, l’ha persa nei confronti un sindaco screditato e ormai impresentabile. Ma quel che il fallimento delle politiche muscolari lascia sul territorio è tuttavia un desolato cumulo di macerie sociali, dove ogni legame, ogni forma di coesione appaiono sfilacciati, se non del tutto spezzati. A Milano come a Napoli è in corso un sofferto processo di ricucitura, che vede protagoniste non solo le amministrazioni locali ma anche (forse soprattutto) le tantissime realtà associative chiamate anche esse a corresponsabilizzarsi, a sentirsi e ad agire come componenti del governo cittadino. E anche a Roma quell’estesa e capillare rete che anima la battaglia d’opposizione, quel vasto e multiforme arcipelago resistenziale si vanno g r a d u a l m e n t e trasformando in desiderio di liberazione, in un possibile movimento di alternativa politica. È un processo già in atto. Che transita lungo quella miriade di attività, progetti, sperimentazioni, iniziative volontarie coltivate nei quartieri, soprattutto di periferia. Una mobilitazione di soggettività che diventa riferimento intelligente e generoso a disposizione di tutti e tutte. Le cooperative di lavoro che si occupano di integrare i soggetti più diversi (ma tutti «svantaggiati»), assicurando la manutenzione urbana di strade, scuole e aree verdi. Gli attori che occupano i teatri per rilanciarli ed evitare che vengano svenduti o che si trasformino in casinò. Le imprese sociali che promuovono servizi sempre più lungimiranti e avanzati, in sintonia con le trasformazioni e i nuovi bisogni. Le ragazze che occupano caseggiati pubblici destinati a essere privatizzati e aprono sportelli di sostegno per donne in difficoltà. La disobbedienza civile che istituisce registri per le unioni civili e per depositare testamenti biologici. Le associazioni che aprono teatri, sale musicali, laboratori artistici e palestre popolari in quell’edilizia residuale abbandonata all’incuria e al degrado. Gli anziani che si mettono a coltivare orti e frutteti negli angoli dei parchi. I volontari che aprono ambulatori nei prefabbricati e offrono assistenza sanitaria gratuita a chiunque bussi alla porta. Gli agricoltori che allestiscono mercati per vendere a prezzi popolari prodotti a chilometro zero. I ragazzi che aprono al pubblico immobili sequestrati alla criminalità per evitare che vengano di nuovo sequestrati da qualche assessore. Non sembri tutto questo un campionario di marginalità, un’ingenuità ideologica. È invece la scala su cui misurare l’aderenza alla contemporaneità. Le città in futuro vivranno sempre meno di grandi opere e grandi eventi e sempre più di riuso e riconversione. Sarà la microeconomia, l’impresa sociale e la cooperazione, la cultura e l’agricoltura, ad assicurare reddito e occupazione, non certo la manifattura industriale o l’intermediazione finanziaria. È per questo che a Roma sarà importante poter contare sulla vitalità del mondo associativo, condizione per poter quanto prima affrontare le esigenze che imporrà il nuovo paradigma dello sviluppo post crisi. Ricostruire in città un clima meno torbido e arcigno, rigenerare la maglia sociale, promuovere una migliore vivibilità, riavviare l’economia locale, dipenderà proprio dall’iniziativa di questi soggetti: un protagonismo che sarà chiamato a determinare non solo la sconfitta della destra romana, ma anche l’avvio di un nuovo e più inclusivo modello istituzionale.

0 comments

Leave a Reply

Time limit is exhausted. Please reload CAPTCHA.

Sign In

Reset Your Password