Una scoperta, una conferma, una infamia. L’eccidio delle Fosse Ardeatine del 24 marzo 1944, col massacro di 335 civili a opera dei nazifascisti, non finisce di riservare sorprese.
Una scoperta, una conferma, una infamia. L’eccidio delle Fosse Ardeatine del 24 marzo 1944, col massacro di 335 civili a opera dei nazifascisti, non finisce di riservare sorprese.
Negli archivi del Museo storico della Liberazione a Roma — che ha sede in via Tasso nell’ex carcere «politico» da cui partirono molte delle vittime — sono state trovate due pagine, che insieme a una terza esistente rappresenterebbero la lista originale di detenuti prelevati dal carcere di Regina Coeli. Due elementi sono chiari: la presenza del numero di cella, che rimanda appunto al carcere, e la firma del compilatore, Heinz Thunath, Obersturmfuehrer, incaricato di prelevare i prigionieri. Un documento prezioso perché ancora oggi non è chiaro come i nazifascisti, su ordine di Kesselring e del generale Maeltzer, siano arrivati al numero di 335. Una prima lista di 270 comprendeva detenuti di Regina Coeli e di via Tasso. Ma per arrivare all’agghiacciate proporzione «1 a 10» con cui i nazisti volevano vendicare i 32 morti dell’attentato partigiano di via Rasella, vennero aggiunti 55 nomi, preparati dal questore fascista Pietro Caruso. Anche questi non bastarono e dieci vittime non sappiamo ancora oggi come vennero rastrellate e portate a morire.
La conferma viene proprio dal nome del compilatore Heinz Thunath, figura minore del processo Kappler. Solo pochi giorni fa il settimanale «Der Spiegel» ha ripreso il lavoro di uno storico tedesco, Felix Bohr, sulla corrispondenza tra i ministeri degli Esteri di Roma e Berlino nel 1959, da cui emerge la comune volontà di nascondere i nomi e i recapiti dei complici di Kappler. In questa corrispondenza compare il nome di Heinz Thunath, con l’annotazione di tacere il suo indirizzo.
La scoperta, a via Tasso, è stata compiuta dalla responsabile degli archivi, Alessia Glielmi: «Le fonti — conferma — contengono nome, cognome, data e in alcuni casi luogo di nascita e numero di cella dei detenuti. Ma ora sarà necessaria la comparazione analitica con gli altri documenti». Alla fine di questo lavoro potrebbe esserci, a 68 anni di distanza, la possibilità di ricostruire per intero i 335 nomi: ne mancano ancora dieci, mentre l’esame del Dna, solennemente promesso un anno fa dall’allora ministro della Difesa La Russa, non ha dato risultati.
L’infamia è sempre la stessa. Perfino i nazisti processati e condannati all’ergastolo per le 2.273 stragi nazifasciste compiute in Italia fra il 1943 e il 1945, non hanno pagato. Il giornalista Franco Giustolisi nel suo libro L’armadio della vergogna (Edizioni Beat) ne ha elencati 21, con nomi e cognomi. Sarebbero sedici quelli ancora vivi. Ma lo Stato italiano non li cerca. E non si è mai posto il problema di far riconoscere alla Germania le sentenze pronunciate in Italia.
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