Donat-Cattin, la «sua» Dc in un carteggio

I rapporti complessi con Andreotti e il dolore per Moro

I rapporti complessi con Andreotti e il dolore per Moro MILANO — Scomodo. Netto sino alla crudezza. Irascibile e allergico al buonismo. Era così «Carlo il temerario» (copyright Giampaolo Pansa), Carlo Donat-Cattin, leader della sinistra democristiana, fondatore della corrente di sinistra interna Forze nuove e autore dello storico «preambolo» del 1980.

A raccontarcelo in modo inedito, a vent’anni dalla sua morte, è il libro «L’Italia di Donat-Cattin. Gli anni caldi della Prima Repubblica» (Marsilio), a cura di Valeria Mosca e Alessandro Parola. Un testo che raccoglie il carteggio inedito dell’ex leader dc con esponenti del suo partito. Dal 1960 al 1991: centosessantadue lettere, biglietti e telegrammi contribuiscono a ricostruire un puzzle storico e umano di una figura simbolo della Dc. L’accorpamento delle carte provenienti dall’ultimo ufficio romano con quelle dell’ufficio torinese documenta l’attività di partito di Donat-Cattin: dalle battaglie nel sindacato piemontese di ispirazione cristiano-sociale nel dopoguerra agli incarichi amministrativi e di governo: consigliere comunale e provinciale di Torino, deputato, sottosegretario di Stato alle Partecipazioni statali, ministro del Lavoro, del Mezzogiorno, dell’Industria e della Sanità. Infine, senatore.
Di questo, ma anche dei suoi rapporti con i leader della Dc (da Moro a Fanfani, da Rumor a Forlani, da Andreotti a Piccoli, Zaccagnini, Cossiga e De Mita) discuteranno Pier Ferdinando Casini, Massimo D’Alema, Fabrizio Cicchitto, Franco Marini e Massimo Franco mercoledì prossimo a Roma, in un convegno promosso dalla Fondazione Donat-Cattin per presentare il libro. È un carteggio di grande valore, quello che viene fuori, grazie al quale si tratteggiano trent’anni di storia della nostra Repubblica. Affiora infatti dalle lettere uno spaccato dell’Italia così come è stata vissuta da Donat-Cattin e dai suoi interlocutori.
Uno spunto interessante arriva dalla lettera a Moro dell’8 maggio 1962, dove Donat-Cattin sottolinea l’importanza della componente operaia nella Dc: «Non condivido l’apprezzamento della trascurabile importanza, nel campo nostro, dei lavoratori». Con Moro il rapporto è particolare: una «amicizia politica». La tragica vicenda del suo assassinio colpì profondamente Donat-Cattin («Ho sentito grande angoscia»), che nella lettera ad Andreotti del 17 marzo arriva a proporre «un’iniziativa per introdurre la pena di morte». Proposta respinta con scetticismo da Andreotti. D’altronde, col senatore a vita il rapporto fu più complesso e spigoloso. Donat-Cattin lo definisce: «abile e particolare, curiale e spregiudicato costruttore della sua posizione politica». Così come fu difficile il rapporto con Ciriaco De Mita. Non a caso il 22 aprile 1982, in vista del Congresso dc, Donat-Cattin scrisse a Forlani manifestando preoccupazione che una candidatura dell’area Zaccagnini, quella di De Mita appunto, avrebbe creato problemi all’alleanza di governo con i socialisti. Vinse De Mita, e il carteggio rivela molti dissensi tra i due. Ma è a Cossiga, in una lettera del 4 luglio 1988, poche settimane dopo la tragica morte del figlio Marco, che Donat-Cattin apre il suo cuore: «La fede è faticosa per la mia logorata umanità, eppure tutto è Grazia».
Angela Frenda

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