Parla l’autore di Maus , in arrivo a Torino, che racconta in un nuovo libro la nascita della sua opera sulla Shoah
Parla l’autore di Maus , in arrivo a Torino, che racconta in un nuovo libro la nascita della sua opera sulla Shoah
MetaMaus è il nuovo libro di Spiegelman, uscito negli Usa a 25 anni di distanza da Maus (in Italia lo pubblicherà in primavera Einaudi): con una serie di vignette, estratti di taccuini, appunti e riflessioni, ricostruisce la nascita del celebre fumetto in cui raccontò la vicenda vera del proprio padre Vladek, internato ad Auschwitz, con gli ebrei raffigurati come topi e i nazisti come gatti. Un dvd allegato al volume raccoglie anche il racconto di Vladek Spiegelman, registrato dal figlio
Verso la fine degli Anni 70, quando aveva già cominciato a lavorare a Maus, Art Spiegelman, iniziando un nuovo taccuino, scriveva in apertura: «Perché un fumetto? ». E la risposta alla sua stessa domanda era: «Forse i fumetti, così popolari, semi-illetterati, disordinati, sono un modo appropriato per dire l’indicibile».
La pensi ancora così, Art?
«Non posso più farlo, perché il mondo è cambiato. Per prima cosa l’indicibile è detto in dieci minuti, e in secondo luogo i fumetti non sono più fumetti di una volta. Sono vecchio abbastanza per ricordare com’erano i fumetti, dominanti nella cultura dei mass media ma del tutto snobbati dalle librerie e dagli studiosi, che ora sono i più grandi alleati del graphic novel odierno. Così l’idea di quel mezzo si è evoluta e ha mutato di significato. Era difficile che avvenisse proprio in quel modo, ma ciò che ho iniziato a pensare più recentemente è: dopotutto Dante ha tratto l’italiano dal latino, i fumetti sono un linguaggio vernacolare».
Ora, per farti un’altra domanda più formale sui fumetti, in passato hai spesso parlato della relazione tra i fumetti e la memoria, dicendo anche che il fumetto è il mezzo perfetto per descrivere la memoria. Vogliamo approfondire?
«Certo, lo credo ancora. Non sempre concordo con me stesso, ma questo rimane centrale. Sai, se si pensa a una striscia a tre vignette, così come appariva sui quotidiani (che riposino in pace), ebbene, le vignette appaiono tutte insieme e prima di decodificarle uno le ha già viste tutti, perché sono in un unico spazio. Ma questo implica un passato, un presente e un futuro, che le tre vignette rappresentano in sequenza ma che sono tutte presenti allo stesso tempo. Ma il lettore può spaziare, saltando da una all’altra, leggendo prima una e poi l’altra. Questa è una vera mappa del tempo e inserisce la storia in un alternarsi di sequenze tra passato e presente: io posso vedere la vicenda globalmente prima di andare a cercare la parte del ricordo».
una particolare pagina di Maus che a me pare illuminante sul tema della memoria. È quella che racconta di tuo padre che dice di non ricordare un’orchestra ad Auschwitz e tu rispondi: non so, ma è tutto molto ben documentato. Potresti parlarci un po’ del tuo approccio a quella pagina?
«Ok, quella è una pagina che io sapevo di dover mettere da qualche parte nel libro, anche se non sapevo bene dove e come. Ma l’avevo in mente anni prima di disegnarla. A proposito, vorrei fare un inciso per dire che a volte sono molto diffidente verso gli accademici, ma il motivo per cui ho permesso a Hillary di entrare nella mia vita è stato leggere uno dei suoi primi scritti in cui, benché fosse solo una studentessa appena diplomata in letteratura, dimostrava di saper guardare alle cose in modo differente, senza usare un linguaggio in codice, e così era in grado di cogliere aspetti visivi in Maus che di solito sfuggivano alla gente che leggeva avidamente il mio racconto».
Grazie per questo complimento non previsto.
«Ma qui era necessario cercare di spiegare un rapporto tra me – che in quel caso ero l’intervistatore, la persona che stava creando e dando forma al libro – e mio padre, e il punto era che il ricordo è impreciso e parziale, perché è così che lavora la memoria. E avevo la necessità di usare con mio padre un argomento in qualche modo visivo per mostrargli come avviene, ed ecco, qui è scritto [mostra la striscia su uno schermo, ndr] “Ogni giorno, marciavo per andare al lavoro sperando di vedere di nuovo Mancie, era possibile che avesse notizie di Anna”, e si vede il flusso dei prigionieri che passa davanti all’orchestra, poi, passando al presente [indica la vignetta successiva, ndr], “Ho appena letto dell’orchestra da campo che suonava mentre voi uscivate dal cancello a passo di marcia”, “Un’orchestra? ” ribatte il padre. E poi, nella vignetta seguente: “No, non ricordo nessuna orchestra, solo che marciavamo. Dal cancello le guardie ci portavano al laboratorio. Come avrebbe potuto esserci un’orchestra? ”. “Non lo so, ma è molto ben documentato”. “No, al cancello io sentivo solo le urla delle guardie”. Così, questa era una situazione ben documentata, e quindi c’era un luogo in cui la cosa poteva essere contestualizzata.
«Quindi, nel primo quadro si vede l’orchestra nel suo insieme, per come ho capito, e questo esprime la mia opinione, poi si vedono i prigionieri che avanzano e nascondono l’orchestra, e questo in omaggio ai ricordi di mio padre, però mostro la cima di un violoncello, un paio di strumenti, come a dire, ehi lì c’era davvero un’orchestra, e poi ho fatto in modo che sullo sfondo la struttura degli assi di legno apparisse come un pentagramma. Ma questo non l’ha notato nessuno, tranne tu e io. E poi la marcia continua, fino alla vignetta successiva. E ciò porta a questo scontro di opinioni sulla memoria perduta, anche se ho capito che poteva essere semplicemente fuorviata quando, sempre a quel tempo, ho iniziato a studiare dove Vladek andava a lavorare: non doveva passare necessariamente dal cancello principale, poteva essere un cancello secondario per andare al laboratorio e in tal caso non sarebbe passato davanti all’orchestra. E quando è stato portato al campo non è arrivato con il treno, da dove si vedeva l’orchestra, ma su un camion, con appena una ventina di persone, la notte che venne arrestato.
«Così, è di certo possibile che non abbia mai visto nulla dell’orchestra, una bella combinazione. Ma io avevo necessità di avere quell’argomento, perché dovevo chiarire che stavo creando quell’opera. E una delle cose di cui sono grato a questo Meta-Maus è che tutto il libro è visto attraverso questo dvd che lo approfondisce e che permette, tra molte altre cose, di ascoltare le registrazioni delle conversazioni con mio padre e di sentirne la voce e ascoltare da lui la verità. E se io non posso togliere una volta per tutte la mia maschera da topo, lui può farlo e raccontare la storia con un’eloquenza che rappresenta la sua versione».
Copyright 92y Traduzione di Carla Reschia
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