Anche i precari possono volare

IN SCENA Con una pièce il Calamandrei ricorda Magri

IN SCENA Con una pièce il Calamandrei ricorda Magri
Da un lato i valori sacri, quelli della Resistenza e poi quelli del ’68, e dall’altro lato il nulla, il vuoto stagno di una gioventù senza principi, senza speranza? Le cose non possono stare così. Eppure la comunicazione tra generazioni è complicata, facilmente riducibile a un conflitto sordo che non lascia intravedere vie d’uscita. Quando una giovane precaria grida una richiesta di aiuto, da chi «ha combattuto» per l’eguaglianza e la giustizia non arrivano risposte. Salvo poi, alla fine, darle in regalo una scatola che racchiude uno stivale difficile da togliere, cosicché resta floscio, penzolante dal piede della precaria in una metafora efficace di un’Italia insterilita senza identità.
Lo spettacolo teatrale ParolePotere ha iniziato la sua avventura sul palcoscenico del bellissimo e gremito teatro Pergolesi di Jesi, sabato sera, e speriamo possa proseguire a lungo il suo viaggio. L’idea è nata dalla tenacia di Gian Franco Berti, presidente del Centro studi Piero Calamandrei che è il produttore della piéce. Il contesto non può che essere il 150° dell’Unità d’Italia e al termine della rappresentazione firmata dal regista Simone Guerro viene naturale chiedersi dove siano finite speranze e valori. Le letture pescano in autori classici, da Verga a Foa, da Gramsci a Leopardi, Da Rosselli a Calvino a Gobetti. Nel ruolo della precaria, Chiara Caimmi bene interpreta delusioni e disperazioni di una gioventù abbandonata, colpita ripetutamente dalle palline da tennis lanciate da sordi portatori di passioni ormai avvizzite, solo rivendicate per tacitare la coscienza. I lanciatori di palline sono gli Onafifetti, un trio che attraversa mezzo secolo di storia con la musica, passando sotto «la pioggia che va» dei Rokes e tra gli indimenticabili Gufi.
Il personaggio più simpatico nel cast è sicuramente la precaria che assomiglia a tanti suoi coetanei, così come il trio dall’aria sessantottina porta in scena una generazione appagata che vive di ricordi e si racconta di coraggio e rivoluzioni ma è incapace di un bilancio, e persino di trasmettere i propri valori alle generazioni dei figli e nipoti. Una possibile via d’uscita da una situazione angosciante è offerta alla fine della piéce dal «Sarto di Ulm» di Bertold Brecht, convinto che l’uomo potesse volare e deriso da un vescovo incapace di comprenderlo. Il sarto si schianterà lanciandosi in un volo impossibile dal campanile: ma chi aveva ragione, il vescovo o il sarto? L’uomo, alla fine, ha imparato a volare. In tanti invece, come il vescovo di Brecht, non si sono mai sollevati da terra, trattenuti da un realismo senza speranza né passione. A questo punto invade la scena una gigantografia di Lucio Magri, e l’applauso del Pergolesi accompagna la fine dello spettacolo.
Tocca a Luciana Castellina e a Valentino Parlato ricordare brevemente il nostro compagno Lucio Magri, la vita e la morte legate dal filo rosso della coerenza. Il messaggio è che si può anche non farcela individualmente, ma «insieme ce la faremo». Va dato atto di una buona dose di coraggio a chi ha voluto e a chi ha realizzato lo spettacolo che certo non dev’essere piaciuto alla curia jesina. Ma Jesi, si sa, ha un’antica tradizione di passioni non ingabbiabili dentro il recinto di una chiesa. Come ricorda minacciosa la lapide a Giordano Bruno in piazza Federico Secondo: «In questo luogo già sede della Santa Inquisizione/ oggi stanza di civili studi a Giordano Bruno/ vittima della tirannide sacerdotale/ martire del libero pensiero/ i cittadini di Jesi adiacente il municipio posero. 9 giugno 1889».
L’ultimo messaggio è letto al microfono dallo storico Angelo D’Orsi: è di Carlo Azeglio Ciampi, presidente onorario del Centro Calamandrei. Un intervento non formale, che plaude a una lettura dei 150 anni di storia d’Italia «dalla parte dei vinti: uomini e donne sopraffatti fisicamente dalla forza delle armi e dalla brutale violenza liberticida, ma dallo spirito indomito, non soccombente nell’affermare gli ideali di libertà, di uguaglianza, di solidarietà». La solidarietà di cui ha bisogno la nostra precaria.

0 comments

Leave a Reply

Time limit is exhausted. Please reload CAPTCHA.

Sign In

Reset Your Password