Anche i cani vanno in paradiso

Stelle a quattro zampe. Un soldato americano trova un pastore tedesco in una trincea durante la Grande guerra e lo chiama come un pupazzetto francese. Incomincia così la storia e la leggenda di uno dei più grandi eroi di Hollywood. Ora consacrato in una biografia degna di un divo

Stelle a quattro zampe. Un soldato americano trova un pastore tedesco in una trincea durante la Grande guerra e lo chiama come un pupazzetto francese. Incomincia così la storia e la leggenda di uno dei più grandi eroi di Hollywood. Ora consacrato in una biografia degna di un divo

Nacque nel 1913 come pupazzetto di lana e da allora abbaia in eterno, o almeno da un secolo, che non è l´eternità, ma è già qualcosa. Il pastore tedesco dalle prodigiose abilità atletiche e dall´inflessibile coraggio, il cane che sconvolse Hollywood quando vinse un Oscar che poi gli fu negato per non offendere gli attori umani molto più “cani” di lui, aveva preso il nome di un pupazzetto portafortuna da otto franchi che le donne e i bambini francesi regalavano ai loro poilus, i loro uomini spediti a morire nelle macellerie umane della Prima guerra mondiale: Rin-Tin-Tin. Insieme con il certificato di adozione che portava nel tascapane e avrebbe portato con sé tutta la vita per ricordarsi di essere anche lui un trovatello solitario, l´aviere americano del 135esimo squadrone, Leland L. (Lee) Duncan, teneva sempre in tasca il pupazzetto di Rin-Tin-Tin che un bambino gli aveva lanciato quando era sbarcato dalla nave insieme con il contingente yankee nel 1918. Perché fosse lo charmant fétiche grazie al quale delle bombe e dei proiettili on se fiche, recitava la filastrocca propiziatoria e bugiarda: «Con questo bel feticcio, delle bombe me ne infischio».
Ma la promessa dovette apparire vera al soldato quando s´imbatté per caso in un canile militare tedesco sulla Mosella appena bombardato dal quale una nidiata di lupacchiottini tremanti ma incolumi, raggrumati attorno a una cagna famelica e agitata, lo guardava con gli occhi supplicanti e indifesi dei cuccioli. Era il settembre del 1918, la guerra ormai agli spasmi finali della sconfitta tedesca. Duncan ne raccolse due, un maschio e una femmina. Chiamò uno Rin-Tin-Tin e l´altra Nénette, che era la bambolina fidanzata del pupazzetto. E da quel ménage à trois fra orfani di uomo e di cane sarebbe nata una stella del cinema che avrebbe brillato per mezzo secolo. E ancora non è spenta.
L´ha riaccesa una scrittrice giornalista dello snobbissimo New Yorker, Susan Orlean, che aveva a proprio credito già vari bestseller e che in questi giorni ha pubblicato la prima biografia ufficiale, tra fatti e leggende, di questo animale attore che per tre generazioni, dalla prima umiliante particina nella pelliccia di un cane da slitta quale certamente un pastore tedesco non è, nel 1922 accreditato nei titoli con il nome sbagliato di Rin Tan, avrebbe poi prodotto ventidue feature film, lungometraggi. In più di dieci anni di carriera, Rinty, come alla fine sarebbe stato conosciuto e chiamato dai colleghi umani prima di andare in pensione come istruttore della Croce Rossa, avrebbe salvato donne e bambini, cavalleggeri in divisa blu dagli allora sanguinari “musi rossi” Comanche e minatori sepolti vivi. Ma avrebbe soprattutto salvato dalla morte lo Studio dei fratelli Warner, la Warner Brothers, che il successo immenso delle avventure di Rinty strappò alla bancarotta.
Di lui si disse che fosse morto dolcemente da grande divo sul prato della casa di colui che lo aveva salvato in trincea (Nénette, la sorella, si era arresa molto giovane a una polmonite) tra le braccia della bellissima e biondissima Jean Harlow che ne strinse il corpo nero e argenteo fino all´ultimo respiro. Ma se la morte legale del fiero lupo con il nome da pupazzetto porta la data del 1932, esattamente ottant´anni fa, non si deve neppure pronunciare quella parola a Susan Orlean e agli eredi della moglie di Duncan, che ancora litigano per i diritti residui, anche se lei si stancò di essere sempre seconda al cane e lo lasciò per seguire una celebre cantante, Helen Reddy, nelle tournée.
Rin-Tin-Tin è immortale. Un po´ appassito e svanito nella nebbia delle generazioni che lo hanno venerato come spettatori prima al cinema e poi in televisione con i suoi serial Le avventure di Rin-Tin-Tin per tutti gli anni Cinquanta, è ancora vivo sul sito a lui dedicato da una signora texana che ne ha coltivato il dna e ha prodotto una lunga sequela di cloni naturali. Ovviamente – e sperando che la Orlean, fanatica animalista che tiene in casa un cane di oscuro pedigree, otto gatti, dieci galline, quattro anatre, cinque uccelli in gabbia e un acquario brulicante di pescetti tropicali, non ci legga – anche Rinty è stato in realtà molti cani diversi, tra discendenti diretti (l´ultimo è Rin-Tin-Tin VIII, roba da far invidia ai Borboni e ai Savoia) e i venti animali, tutti stupendi, utilizzati nei film e nei telefilm.
Né furono tutti cani straordinari, come era il fondatore della dinastia che attirò l´occhio del produttore Darryl Zanuck quando un cameraman che aveva creato un cinepresa per la slow motion gli mostrò la sequenza di Rinty che saltava agevolmente una siepe alta quasi quattro metri. Il primogenito ed erede della corona, Rin-Tin-Tin II, ebbe il malinconico onore di essere citato dal Los Angeles Times quando permise a un ladro di svaligiare di notte la casa di Leslie Duncan, continuando a dormire tranquillamente. «Casa svaligiata mentre eroico cane dorme» titolarono carognescamente i redattori del Times.
Ma la presa che questo cane originariamente non bellissimo, perché ai militari del Kaiser che li allevavano interessava più la forza e la resistenza che la bellezza, e via via perfezionato, esercitò sull´immaginazione, sul cuore, sulle emozioni di bambini americani e non americani, non ha conosciuto rivali. Neppure Lassie, la “ragazzina” (questo significa il suo nome) che pure fu la sua più accanita rivale, lo scalzò da quel trono che nel 1929 gli valse quell´Oscar poi frettolosamente ritirato. Dozzine di altri animali, come lo scimpanzé di Tarzan, Cita, scomparso pochi giorni or sono all´improbabile età di ottant´anni, come Zanna Bianca, Fortecuore, Klondike, Kazan il Meraviglioso, Tuono e immancabilmente Fulmine, tentarono di scalzarlo dalla vetta di quelle colline dalle quali ogni suo film e telefilm terminava, con la silhouette stagliata contro il cielo. La stessa autrice della biografia, la Orlean, ha raccontato sul New Yorker lo scorso agosto di non sapere esattamente che cosa l´avesse spinta a consumare sette anni della propria vita per ricostruire, latrato per latrato, la storia del cane chiamato come un pupazzetto. Non lo aveva mai neppure visto al cinema né in tv, negli anni Cinquanta quando era appena nata, ma ricordava una statuetta di quel cane con la lingua penzoloni, alta dieci centimetri e che ornava la scrivania di un nonno gelido e distante con i bambini, ma devotissimo agli animali. È stato guardando un documentario in tv, nel quale alcune vecchie sequenze con Rinty erano inserite, che l´Orlean ha «sentito una scossa dentro» e si è lanciata sulle orme di quelle zampe.
Non arriva fino ad affermare che Rin-Tin-Tin sia immortale, che il suo spirito viva reincarnato negli almeno sei uomini e nell´allevatrice che giurano di essere la versione bipede del cane e forse potrebbero giovarsi di qualche affettuosa consulenza terapeutica. Ma Susan viaggia negli studi delle televisioni per promuovere il libro, e insinuare che sì, c´è qualcosa in quell´animale strappato dal destino alla morte in guerra che va oltre il divismo, la solita antropomorfizzazione degli animali nelle fiabe e nel cinema che Disney avrebbe portato al trionfo di sorci parlanti e paperi petulanti, la nostalgia per l´America innocente dei “buoni” contro i “cattivi”, o il rancore per un nonno freddo e distante. Qualcosa che soltanto chi ha accarezzato un cane molto malato ma ancora con gli occhi pieni di fiducia versi noi umani, mentre il veterinario lo «metteva a dormire», può capire.

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