Aleksej Navalnyj, una giornata da dissidente

Trentasei anni, alto, biondo, sempre elegante Con il suo blog è diventato il nemico del Cremlino e il leader della Primavera russa. Lo abbiamo incontrato: “Non ho paura”, dice, “i gulag non esistono più”. “L’America è affascinante, ma dopo Yale inizio ad apprezzare la mia gente”. “Abbiamo lo spirito di un’azienda. C’è richiesta di verità : noi dobbiamo produrla”. “Sì, mi hanno messo in prigione per due settimane, ma è stata quasi una vacanza” 

Trentasei anni, alto, biondo, sempre elegante Con il suo blog è diventato il nemico del Cremlino e il leader della Primavera russa. Lo abbiamo incontrato: “Non ho paura”, dice, “i gulag non esistono più”. “L’America è affascinante, ma dopo Yale inizio ad apprezzare la mia gente”. “Abbiamo lo spirito di un’azienda. C’è richiesta di verità : noi dobbiamo produrla”. “Sì, mi hanno messo in prigione per due settimane, ma è stata quasi una vacanza” 

Mosca. il dissidente più famoso di Russia va in ufficio di buon mattino. Passa la giornata al computer e poi beve una birra con gli amici. La sera resta spesso in casa a guardare i Simpson in tv con la moglie e i due figli. Non ha paura, o fa finta di non averne. Lo hanno messo in carcere per quindici giorni, «ma è stata quasi una vacanza», passata a giocare a carte e a mangiare tavolette di cioccolata. I militanti gliene hanno spedito quasi sette chili. «Ragazzi affettuosi ma con poca fantasia, nessuno che abbia mandato un salame o qualche panino al tonno». Per il resto gira per Mosca senza precauzioni particolari. «In autobus vedo che non mi riconosce proprio nessuno. Ogni tanto è arrivata qualche minaccia ma non è mai successo niente. Temevo che mi bucassero le gomme dell´auto. Nemmeno quello».
Gioca un po´ Aleksej Navalnyj, avvocato di trentasei anni, capelli biondi a spazzola, occhi blu e aria eternamente finto-imbarazzata. Sa bene di essere il leader naturale della cosiddetta Primavera di Mosca e il primo nella lista non scritta dei nemici del Cremlino. Gli fa piacere essere finito sulle copertine di Time e di Esquire, di essere invocato da mille blogger come il futuro presidente del Paese. Ma ha ben chiaro che tutta la forza del suo personaggio consiste proprio in quell´aria normale, da cittadino qualunque senza boria e senza etichette politiche. Il tutto ben completato dal suo fisico da ragazzone impacciato con le braccia decisamente troppo lunghe: «Non riesco mai a trovare una giacca della misura giusta». Alle giacche, e ai vestiti in genere, ci tiene. Giubbotto di Abercrombie su scarpe da trekking la sera, grigio cappotto di cachemire e sciarpina inglese la mattina. Anche nelle manifestazioni di piazza lo abbiamo visto sfoggiare un look personalizzato e molto curato. Lui dice che non c´è niente di male e soprattutto insiste che i tempi sono cambiati, che non ha senso fare confronti con i dissidenti sotto il regime sovietico. «Era una società molto più povera e c´era un potere molto più violento. Qui non credo che nessuno di noi rischi di essere eliminato o di finire in un gulag». E se provi a citare il caso di Mikhail Khodorkovskij in carcere da anni con accuse palesemente inventate, precisa: «Lui è un oligarca, che voleva fare politica. Un caso di regolamento di conti interno. Quelli come me denunciano tutto quello che non va. E possiamo documentarlo, abbiamo le carte. Per questo è difficile farci star zitti».
Basso profilo apparente e ostentata sicurezza. La “strategia Navalnyj” è tutta qui. La vedi fisicamente riprodotta nel suo ufficio di via Letnikovskaja. Un vecchio palazzo restaurato al ridosso delll´Anello dei Giardini che contiene il centro della capitale. Navalnyj fissa lo schermo con le gambe allungate sul tavolo che da questa parti è considerata un´abitudine «molto americana». Il tavolo è grande e ha dodici sedie che evocano immagini di lunghe, democratiche, riunioni operative. In realtà restano spesso vuote perché l´uomo è un decisionista che, qualche volta, diventa perfino un po´ autoritario. Ma i suoi lo amano e gli perdonano tutto come da copione in tutti i ritratti dei grandi leader. L´ufficio, in affitto, è sede della sua creatura, il sito internet RosPil, un acronimo che sta per «segatura di Russia» dove il termine «segatura» si riferisce a un´espressione gergale che si potrebbe tradurre in «ruberie ai danni dello Stato». È stata la chiave del suo successo e adesso è alla base della sua strategia futura.
Tutto cominciò con la Svizzera. Un giovanissimo Navalnyj figlio di un benestante ex ufficiale dell´Armata Rossa aveva piccole quote azionarie di colossi a partecipazione statale Vtb, Rosneft e Gazprom. Roba insignificante ma il pedante neolaureato si interessava alle attività delle grandi aziende con l´entusiasmo di un grande finanziere. E con la competenza di un appassionato blogger con contatti e amicizie in tutto il mondo. Fu così che si scoprì l´esistenza a Ginevra di un´azienda, la Gunvor, di proprietà del miliardario Gennadj Tymchenko amico personale di Vladimir Putin. Tutte le transazioni di gas e petrolio venduto dalla Russia in Occidente passano, non si capisce bene perché, da Gunvor. Un sistema, nemmeno troppo nascosto, di drenare incassi destinati allo Stato russo e di dirottarli direttamente per altri misteriosi lidi. «Ma la cosa più sorprendente fu capire che quando ho messo le informazioni in Rete, la cosa interessava moltissima gente. Non solo gli azionisti di minoranza delle aziende statali, ma ogni tipo di cittadino onesto».
Nacque così RosPil. Ogni giorno da tre anni Navalnyj e la sua squadra mettono in Rete tutti gli investimenti di denaro pubblico decisi dal governo. Dai fondi per il restauro del Teatro Bolshoi a quelli per l´informatizzazione degli uffici o delle nuove reti stradali. E attendono che dalla Rete giungano segnalazioni, denunce, documenti. Dmitri Volov, avvocato; Konstantin Kalmikov, politologo e Lubov Fedeneva, esperta giurista, dai loro ufficetti a fianco alla stanza del capo, analizzano, verificano, pubblicizzano ogni irregolarità. «Il nostro è un vero e proprio studio legale che combatte la corruzione. Solo prove e documenti, altro che politica. Più gente capisce il marcio che c´è nel paese, più gente avrà voglia di scendere in piazza per mandare via questo governo». Un lavoro dunque, e anche redditizio. «È incredibile quanta gente ci mandi sottoscrizioni spontanee. Possiamo raccogliere anche centomila dollari in una settimana. Perché se continui a ripetere sempre e soltanto la verità prima o poi la gente ti crede e ha fiducia in te». Ed eccolo, finalmente, il segreto: «Bisogna avere lo spirito di un´azienda. In Russia c´è una altissima richiesta di verità. E noi dobbiamo continuare a produrla come fosse un qualsiasi prodotto industriale». Lo stesso vale per la contestazione montante, l´obiettivo è insistere, senza programmi futuri, tirando fuori il marcio e invocando il cambiamento. «Quando leggo interviste a oppositori di qualsiasi parte del mondo, vedo che la domanda più scontata è: cosa farebbe se fosse presidente? Ebbene, io non mi sono mai fatto questa domanda e continuo a non farmela. Non mi interessa chi cambierà le cose. Voglio solo che le cose cambino». Forse un po´ limitativo ma non è il momento per sfoggiare ambizioni presidenziali. La stampa filogovernativa ha già cominciato a demolire il personaggio: qualcuno dice che è al soldo degli americani, sottolineando un lontano stage di sei mesi a Yale sponsorizzato da un altro dissidente, lo scacchista Kasparov. Altri si lanciano in un complottismo vecchio stile teorizzando che potrebbe invece essere manovrato proprio dal Cremlino per guidare la rivolta ma tenendola a bada. Lui ci ride sopra. «Delle due calunnie preferisco la seconda perché mi sento profondamente patriottico. L´America è affascinante ma non mi riconosco proprio in quel modello. Anzi, quando sono tornato da Yale ho imparato ad apprezzare di più la mia gente, la cittadina militare di Butyn, vicino a Mosca, dove sono nato. Perfino le acque, ora radioattive, del fiume che scorre vicino a Cernobyl e dove passavo le vacanze estive ospite della nonna paterna. A modo mio rimango un po´ sovietico».
Ultima frase buttata lì per stupire. Come hanno stupito non poco le sue tirate nazionaliste che hanno turbato molti democratici del fronte della contestazione. «Il nazionalismo è importante. Se lotti contro la corruzione lo fai per il bene del tuo paese. Ma i fanatici non mi piacciono. Li frequento, li rispetto. Tutto qui». Anche con la religione cristiana ha un rapporto utilitaristico. «Ho capito quanto fosse importante leggendo Mosca-Petuskij di Venedikt Erofeev. Le note a pie´ di pagina mi facevano notare che tutte le citazioni illuminanti venivano dalla Bibbia. La Chiesa è fondamentale. Se non per la fede, certamente per l´immensa cultura che si porta dietro». E la vita del dissidente? «Una vita normale. Casa, ufficio, una straordinaria moglie-amica, due bambini che dicono che papà è un eroe. E un altro vantaggio impagabile: un lavoro che mi diverte moltissimo».

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