Lo scandalo economico del dono. Etica hacker e carità  cristiana

Natale incombe e l’incubo della corsa ai regali si avvicina. Quest’anno contribuiranno a renderlo ancora più angoscioso le tasche svuotate dalla crisi, tuttavia, anche in tempi di vacche magre, il vero problema non sono i soldi, bensì quell’obbligo alla reciprocità  che ci induce ogni volta a divinare da chi potremmo ricevere regali, per non trovarci nella penosa condizione del debitore (magari per avere ricevuto qualcosa di cui avremmo volentieri fatto a meno).

Natale incombe e l’incubo della corsa ai regali si avvicina. Quest’anno contribuiranno a renderlo ancora più angoscioso le tasche svuotate dalla crisi, tuttavia, anche in tempi di vacche magre, il vero problema non sono i soldi, bensì quell’obbligo alla reciprocità  che ci induce ogni volta a divinare da chi potremmo ricevere regali, per non trovarci nella penosa condizione del debitore (magari per avere ricevuto qualcosa di cui avremmo volentieri fatto a meno). Sull’ambiguità del dono, sul fondo di aggressività che l’atto del donare inevitabilmente nasconde, antropologi, filosofi, psicologi e sociologi hanno versato fiumi d’inchiostro (vedi, fra l’altro, la recente uscita della raccolta di saggi Oltre la società degli individui. Teoria ed etica del dono, editore Bollati Boringhieri, curata da Francesca Brezzi e Maria Teresa Russo), convergendo su un concetto largamente condiviso e cioè che il donatore acquisisce sempre potere nei confronti del donatario: nella migliore delle ipotesi, il potere di costringerlo alla reciprocità, nella peggiore, che si realizza quando il donatario non è in grado di ricambiare, quello di metterlo in uno stato di permanente soggezione.

Questa ambivalenza non impedisce al tema del dono e della relazione umane “gratuite” di assumere un peso crescente nel dibattito economico, politico e culturale sulle possibili alternative al modello “mercatista”, largamente egemone negli ultimi decenni e oggi oggetto di dure critiche per la tragica crisi in cui ha sprofondato il mondo. A favorire la riapertura di un orizzonte utopico, che il crollo del socialismo reale sembrava avere definitivamente chiuso, sono stati, fra gli altri, due fattori: da un lato, quella cultura del gratuito che accomuna la grande maggioranza dei miliardi di utenti della Rete, dall’altro l’impegno della Chiesa cattolica sul fronte della “economia sociale di mercato”, concetto che ha trovato una formulazione particolarmente efficace nell’enciclica Caritas in Veritate di Benedetto XVI.
Le pratiche fondate sulla cooperazione spontanea e gratuita fra comunità e individui interconnessi via Internet -sviluppatori di software libero, blogger, redattori di Wikipedia, movimenti politici e sociali, ecc.- hanno confermato una verità che gli antropologi avevano intuito da tempo: il dono non connota uno spazio “altro” rispetto all’economia, una messa fra parentesi assoluta dell’interesse individuale. La novità consiste nel fatto che, mentre i fondatori dell’antropologia come Marcel Mauss concepivano il dono come una prefigurazione arcaica dello scambio economico, i teorici del dono in Rete sostengono che sulle inedite forme di reciprocità “gratuita” mediate da Internet è possibile fondare una nuova economia in grado di produrre innovazione e valore a ritmi assai più elevati di quella tradizionale, evitando nel contempo di sacrificare sull’altare del profitto i principi e i valori della solidarietà e della reciprocità umane.
L’attenzione della Chiesa nei confronti di questo approccio è testimoniato dai molti scritti che uno studioso come padre Antonio Spadaro, da poco alla direzione della “Civiltà Cattolica“, ha dedicato all’argomento. Ma il punto di vista cattolico sul tema sporge ampiamente dall’orizzonte culturale tracciato dalla cosiddetta “etica hacker”: nell’enciclica sopra citata, per esempio, viene contestata la visione smithiana del mercato come unica istituzione in grado di garantire democrazia e libertà, mentre si insiste sulla necessità di fare spazio alla logica dl dono e della reciprocità in una economia di mercato che, ove abbandonata ai suoi automatismi, rischia di distruggere se stessa, come la crisi in corso sta dimostrando. Imboccare la “terza via” di una economia sociale di mercato potrebbe aiutare il mondo a superare le attuali difficoltà, anche attraverso lo sviluppo di un nuovo welfare, proiettato oltre l’alternativa fra statalismo e mercatismo.
A obiettare contro queste visioni, tuttavia, non sono solo i teorici integralisti del libero mercato. Sul piano filosofico, vengono riproposte le argomentazioni sulla “dismisura” del dono, sulla sua natura “scandalosa”, irriducibile a ogni razionalizzazione logica: dalla concezione del dono come dissipazione energetica, perdita, pura dépense, già sostenuta da Georges Bataille, alla tesi di Jacques Derrida sulla “impossibilità” del dono, sul fatto che il dono, per essere “puro” per sottrarsi cioè al sospetto di una implicita aspettativa di scambio, dovrebbe auto-cancellarsi in quanto tale, divenire invisibile. Per chi assume tale punto di vista, ogni tentativo di “addomesticare” il dono, di neutralizzarne la natura scandalosa, è votato allo scacco.
Le critiche politico-sociali, viceversa, addebitano tanto ai teorici dell’economia del dono in Rete quanto a quelli dell’economia sociale di mercato l’intenzione di espungere ogni valenza sovversiva e rivoluzionaria dalla pratica del gratuito: i primi perché mirano a dimostrarne l’assoluta compatibilità con i modelli della New Economy, i secondi perché negano l’esistenza di un rapporto di antagonismo fra relazioni di reciprocità e ricerca del profitto.
Chi ha ragione? Le critiche liberiste al gratuito rispecchiano un’antica fobia nei confronti dell’economia informale: Adam Smith vedeva nelle relazioni impersonali di mercato il presupposto dell’emancipazione dai rapporti di dipendenza personale (“non è dalla benevolenza del macellaio che devo attendere la soluzione dei miei bisogni”). Ma l’obiezione suona anacronistica in un’epoca in cui, grazie alle nuove tecnologie, le relazioni di gratuità si sono a loro volte spersonalizzate, estendendosi ben al di là delle sfere della reciprocità familiare o della beneficenza. Più convincenti le critiche sulla “non addomesticabilità”: l’incompatibilità fra mercato e dono appare confermata dalla rapidità con cui il primo ha saputo sottomettere alla propria logica la cultura internettiana della condivisione e della cooperazione gratuite, l’ipotesi di “terza via” formulata dalla Chiesa sembra dunque difficilmente praticabile. In conclusione: l’orizzonte del gratuito sembra inscindibile da quello dell’utopia, e l’utopia tende inevitabilmente a evocare scenari rivoluzionari.

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