La dismissione della democrazia nella solitudine degli operai

«SIC FIAT ITALIA»  Un film, anche quella specie particolare che viene chiamata «documentario», non è – lo sappiamo – un reportage giornalistico. La differenza sta nel fatto che non si tratta di un’istantanea, e perciò il tempo ha dato modo di ripensare e interpretare. È qui che entra in gioco la soggettività  dell’autore che, se è capace, ci fa capire meglio di una riproduzione il senso delle cose.

«SIC FIAT ITALIA»  Un film, anche quella specie particolare che viene chiamata «documentario», non è – lo sappiamo – un reportage giornalistico. La differenza sta nel fatto che non si tratta di un’istantanea, e perciò il tempo ha dato modo di ripensare e interpretare. È qui che entra in gioco la soggettività  dell’autore che, se è capace, ci fa capire meglio di una riproduzione il senso delle cose. Come un dipinto rispetto a una fotografia. E siccome Daniele Segre capace è, il suo Sic Fiat Italia è un colpo al cuore, e/o alla testa (non so quale dei due sia più importante): perché ci dice qualcosa che è molto più grande e più grave del resoconto della trattativa iniziata con il referendum a Pomigliano e proseguita con quello di Torino. Ci dice che la classe operaia è stata cancellata, che più di cinquant’anni di sofferte conquiste sindacali sono state azzerate. Anzi, di più: come avverte Pietro Ingrao in una breve e dolorosa intervista contenuta nella pellicola, un secolo di lotte del movimento operaio. Nella lettera di disdetta del contratto alla Weber, oggi Magneti Marelli di Bologna, si dismette un contratto ottenuto nientemeno che nel 1954; alla Ferrari, un contratto del 1956. Decenni di contrattazione, di diritti acquisiti, cancellati; e con loro la soggettività operaia grazie ai quali erano stati conquistati.
Con la ricattatoria consultazione voluta da Marchionne – o mangiate la minestra che vi ammannisco o chiudo le fabbriche – è finito un tempo, il tempo della democrazia.
A guardare il film presentato al Festival del cinema di Torino ci sono tantissimi dei protagonisti, gli operai di Mirafiori. Loro esistono, in carne d’ossa, non sono loro a non esserci più; e hanno, in tanti, continuato a lottare. Ma come dice, con una straordinaria riflessione ad alta voce, un operaio non più giovane ma nemmeno anziano: nella nuova generazione non c’è più memoria, né coscienza di classe. Se lavorano, prendono lo stipendio e lo spendono, appena lo perdono, diventano precari, ma frantumati, individui e basta.
Le immagini della discussione ai cancelli, spesso al limite dello scontro, fra quelli del «sì» che pur non convinti avanzano il loro realismo – «se chiude, chi ci dà da mangiare?» e il realismo del «no» – «se cediamo non avremo più forza e dunque neppure la garanzia del lavoro miserabile che ci promettono» – sono interrotte da spezzoni di altri film che Segre ha girato in situazioni analoghe, già dal ’93: Dinamite, alla Carbosulcis, in Sardegna; alla Enichem. Esperienze vissute con gli operai, in altri luoghi, in altri tempi, in vicende simili. Tanti capitoli di una lenta sconfitta che ha tolto dall’agorà il lavoro.
Colpisce, soprattutto qui a Torino, la solitudine di chi si batte: la città non c’è, non c’è nessuno. Non dico le autorità, ma nemmeno la gente, gli studenti, gli intellettuali, i bancari, che so io, gli altri non direttamente coinvolti. E che invece lo sono, indirettamente per ora, poi lo saranno anche personalmente perché la Fiat riguarda tutti in questa città.
Questo silenzio si era già avvertito nell’80, quando fu dato il primo segnale della china che avrebbe preso la vicenda Fiat e non solo. C’è un bel film, poco visto, come tutto quello che parla di operai, che descrive quei giorni, Signorina F, di Vilma Labate. Ma oggi è peggio, il silenzio è assordante.
Alla conferenza stampa di presentazione di Sic Fiat Italia c’è anche Airaudo, responsabile del settore auto della Fiom, un torinese doc. È appena uscito dalla trattativa con la Fiat, che non è neppure iniziata – ci dice – che anzi non c’è. Lui non è nemmeno riuscito ad entrare, perché l’azienda aveva fatto chiudere il cancello con la scusa che fuori c’erano gli operai che sarebbero voluti entrare anche loro, i Cobas e non so che altro. Landini dentro, lui fuori, «volevano chiamare la polizia perché mi facesse largo, quando erano loro ad avere sbarrato la strada. Io, farmi proteggere dagli agenti contro gli operai?» A quel punto dal tavolo si è alzato anche Landini, e se ne è andato.
«I lavoratori sono preziosi, e come tali devono essere protetti. Senza di loro non c’è più il volano del paese. La buona politica si misura su questo».
Sic Italia Fiat non è un film sulla rassegnazione. Anzi. Dice Segre: io con il cinema intervengo dove sento che ce n’è bisogno. Oggi l’urgenza è il lavoro, va riproposto come centralità all’attenzione del paese. Che ne sia stato estromesso è certo il segno più grave, più visibile, dello smarrimento della sinistra, della sua perdita di ruolo e di identità. Ma – dice ancora Airaudo in questo singolare incontro cinema-Fiom – «teniamo duro, per la democrazia, in Italia e altrove. Non siamo la testimoniannza di una storia, di una resistenza che sta finendo. Ci consideriamo una risorsa per ripartire. Il nostro ‘no’ ha dato luce alla vicenda».
Forse Sic Italia Fiat riusciremo a vederlo.Non, per carità, nelle sale e tanto meno alla tv, non capita mai per i film documentari in genere, figuriamoci per quelli sul lavoro. Ma Feltrinelli ha deciso di fare un cofanetto con i dvd dei film di Daniele Segre sul lavoro: il penultimo, Morire di lavoro; Asuba de su serbatoui (vertenza Agip a Villa Cidro); Dinamite e questo. Menomale. Intanto: grazie Daniele.

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