Una conversazione tra i due grandi autori. Sulla letteratura e non solo. La vera misura del nostro lavoro è quella di cogliere la realtà . I poeti non possono essere dei seduttori
Una conversazione tra i due grandi autori. Sulla letteratura e non solo. La vera misura del nostro lavoro è quella di cogliere la realtà . I poeti non possono essere dei seduttori Josif Brodskij: Cosa pensa della letteratura dell´assurdo e in particolare di Beckett? Del rapporto tra il concetto di assurdo e quello più antico di nichilismo?
Czeslaw Milosz: Quando mi trovo faccia a faccia con i testi dell´assurdo provo una strana sensazione perché ho uno spiccato senso non solo dell´assurdo, ma anche del nichilismo. Tuttavia ritengo poco dignitoso sguazzarci dentro.
J.B.: Capisco perfettamente. Noi ci ricordiamo bene come negli anni Quaranta-Cinquanta e in buona parte dei Sessanta trionfassero Ionesco, Beckett ecc. Per un lungo periodo pareva fosse impossibile impegnarsi in letteratura, scrivere poesia o prosa senza prendere in considerazione la letteratura dell´assurdo.
C. M.: Certo. A Budapest, a un congresso, Robbe-Grillet affermò che la letteratura contemporanea (pensava alla Francia) nasceva dall´inequivocabile esistenza delle rovine.
J.B.: Si trattava ovviamente di hegelismo… In ogni caso di un punto di vista tedesco.
C. M.: Se ogni cosa è rovina, è facile arrivare alla letteratura dell´assurdo. La mia reazione fu assolutamente negativa. Dissi: Rovine, certo, ma Nietzsche e Dostoevskij le avevano già viste. Nietzsche lo aveva previsto, vedendo il nichilismo europeo come fenomeno del futuro. Allora io dichiarai che nella nostra parte d´Europa, dopo quelle atroci esperienze storiche, noi eravamo legati a una basilare distinzione tra bene e male, vero e falso e che potevamo schierarci solo dalla parte di ciò che era verificabile empiricamente.
J.B.: In altre parole i concetti di bene e male risultano utili sia malgrado l´assurdo, sia a partire dalla sua esperienza… E l´assurdo non li delegittima.
C. M.: Esattamente. Anche se la sensazione dell´assurdo o il nichilismo stanno alla base di molte nostre esperienze, permane una visione di valori fondamentali. In questo significato la letteratura della nostra parte d´Europa è diversa da quella dell´Europa occidentale. A mio parere la rivoluzione scientifica ha influito sulla letteratura, per esempio sulla poesia dell´Europa occidentale, inducendola a dubitare di alcuni assiomi. Questo ha portato al nichilismo. Invece nella nostra parte di mondo la letteratura ha seguito un altro ritmo, non ha avuto tempo di esplorare il nichilismo, perché si poneva sempre di fronte alla collettività, agli obblighi nei suoi confronti. Perciò certe fondamentali domande epistemologiche non sono state poste e il ritardo in questo campo si è rivelato favorevole…
J.B. : In che modo la letteratura russa ha influito sulla sua visione del mondo?
C. M.: Come lei forse sa, io non ho mai avuto bisogno di studiare russo, perché l´ho appreso da piccolo durante la prima guerra mondiale. Lo parlavo già prima di imparare a leggerlo: ho sempre sentito una grande attrazione verso la poesia russa e insieme una certa qual minaccia che ne derivava dal ritmo, una sorta di concorrenza tra il russo, lingua dall´accento forte e il polacco, dall´accento debole. La letteratura russa mi ha influenzato da un punto di vista filosofico.
J.B.: Dostoevskij naturalmente…
C. M.: Ho capito molto Dostoevskij studiandolo assieme alla storia dell´intelligencja russa e dei suoi libri più importanti.
J.B.: Riferendosi proprio a Delitto e castigo, Anna Achmatova ha detto che Dostoevskij non sapeva ancora tutto sul male, perché credeva che se un uomo massacra una vecchietta, poi deve tornare a casa e crollare. Invece oggi abbiamo visto come per dovere di servizio, in un giorno solo, si possa ammazzare moltissima gente e poi tornare a casa a prendersela con la moglie perché non si è pettinata come si deve.
C.M.: Non va dimenticato che Raskolnikov non crolla tanto sotto il peso dei rimorsi, quanto della pressione sociale. Lui non ha sensi di colpa, prova contrizione perché si vede con gli occhi della società: è un´idea geniale mostrare un criminale che crolla, ma non per ragioni morali (…).
J.B.: Ma Achmatova si riferiva alla gente che lavorava per i servizi segreti e che una volta rientrata a casa non aveva né la coscienza sporca né subiva la pressione morale della società.
C.M.: Sono contento che abbia colto questo aspetto di Delitto e castigo, poiché quando una società sanziona l´uccisione a sangue freddo, sia in un sistema staliniano sia nazista, allora i criminali eseguono i loro compiti con la coscienza pulita.(…)
J.B.: Siamo nel 1989. A ritroso in questo nostro secolo, quali sono per lei le conquiste maggiori della letteratura o della civiltà? Quali autori le hanno insegnato a guardare in un altro modo alla realtà, a scrivere in un altro modo? Penso a Proust, Musil, Faulkner, Kafka, Joyce.
C.M.: Io sono sempre più incline a pensare che la vera misura della letteratura sia la capacità di cogliere la realtà. Dopo tutti i terribili, orribili eccessi nell´usare il termine “realismo”, dire una cosa del genere richiede coraggio. Quanta poca realtà del nostro secolo è stata colta dalle parole… Riguardo all´altra domanda mi è difficile valutare un intero secolo. Le mie letture migliori a volte sono state quelle fatte in libreria [risata], spesso appena una sola pagina…
J.B.: [risata] A volte certe cose ti danno uno slancio incredibile… E Proust è stato importante? Il rallentamento del tempo, in genere la questione del tempo ha avuto importanza per lei?
C.M.: Credo di averlo letto per la prima volta quando ero già formato. Mi fece invece una grande impressione La montagna incantata di Thomas Mann. È stato il romanzo della mia giovinezza.
J.B.: Per me invece Proust. E anche Sterne, anche se non appartiene al XX secolo. E Joyce ha avuto importanza per lei?
C.M.: No. Joyce l´ho incontrato molto dopo.
J.B.: E Kafka?
C.M.: No.
J.B.: Ah, la strada si sta sgombrando! Non ho niente in contrario… Musil?
C.M.: Anche lui abbastanza tardi. Più invecchiavo, meno aveva importanza ciò che leggevo. C´è un´età speciale in cui si legge letteratura, ai miei tempi era la letteratura dell´assurdo degli anni Venti.
J.B.: Un´altra domanda: lo stile. Lei ha parlato molto della letteratura del Ventennio tra le due guerre. Per me la migliore caratteristica di quel periodo è che i romanzi erano brevi e si servivano della tecnica dell´inseguimento, avevano una tendenza alla sintesi, all´accelerazione. A me sembra che per un poeta questo possa essere fonte d´ispirazione, un insegnamento fantastico, no?
C.M.: Senza dubbio. E poi naturalmente il cinema…
J.B.: Il cinema…Non crede che sia stato importante per la sua generazione di poeti o anche per la mia? Noi vi riconoscevamo, quasi a malincuore o in maniera inconsapevole, la tecnica del montaggio, che è il principio basilare della poesia.
C.M.: Senza dubbio, è così.
J.B.: Quali tra i poeti anglosassoni l´ha influenzata prima del suo arrivo negli Stati Uniti? Può tornare indietro agli anni Venti, Trenta e Quaranta?
C.M.: Ho imparato l´inglese durante la guerra a Varsavia…
J.B.: Niente male come posto! [risate]
C.M.: Vero? Niente male. E così mi misi a tradurre e tradussi La terra desolata di T. S. Eliot.
J.B.: Lo ha mai incontrato?
C.M.: Sì: dopo la guerra andai a Londra, da Faber&Faber, a trovarlo nel suo piccolo ufficio, una stanzina.
J.B.: Lei gli raccontò quello che mi ha detto ora? Che lo aveva tradotto durante la guerra? Lui come reagì?
C.M.: Non so cosa abbia pensato, non poteva sapere se la mia traduzione era buona. Io allora ero molto giovane e lo sembravo ancor di più e lui non aveva mai sentito parlare di me. Fu cordiale e molto gentile. Ma Varsavia era forse il posto più strano per tradurre La terra desolata, un poema in gran misura satirico sullo stato disperato della civiltà occidentale. Un poema sulle rovine, appunto… Mi affascina che Eliot, che ora si trova dove in genere vanno dopo la morte i grandi poeti, in Purgatorio, sia stato onorato con un´elegia solo da un poeta russo…
J.B.: Si riferisce a me?
C.M.: Certo [risate]. E poi l´influenza, una forte influenza del mio cugino francese Oscar Milosz. Aveva scritto in maniera stupefacente il suo primo trattato metafisico nel 1916, conoscendo lo sviluppo delle teorie di Einstein (…) se non sbaglio pubblicate nella sua prima versione proprio in quello stesso anno. Lui credeva che la teoria della relatività aprisse le porte di una nuova era di armonia tra la scienza, la religione e l´arte. Per il semplice motivo che il mondo newtoniano è per principio contrario all´immaginazione, all´arte, alla religione. Io perciò seguii quella traccia e constatai con stupore che erano idee prossime a William Blake, che, anche se ovviamente non poteva sapere nulla della relatività, aveva fatto nascere le proprie teorie nella fisica. E anche Goethe, in una sorta di ribellione istintiva contro la via intrapresa dalla scienza ottocentesca…
J.B.: … grazie ai razionalisti…
C.M.: Certo, quelli erano stati i primi segni di un nuovo approccio alla scienza, poi naturalmente alla teoria della relatività e dei quanti. Una questione fondamentale è che per Newton lo spazio era stabile e obiettivo, invece per la fisica contemporanea e anche per Oscar Milosz, una cosa simile non può esistere perché tutto è un unicum di moto, materia, tempo e spazio.
J.B.: Lei è sopravvissuto alla II guerra mondiale, a vari tiranni, ha quindi visto molto e sa bene di cosa è capace il nostro mondo. Naturalmente quello che abbiamo vissuto non ci da il diritto di erigerci a profeti né io le chiedo delle profezie. Ma non crede che le due ultime guerre mondiali siano state in un certo senso una rivolta del genere umano, il tentativo di distruggere la civiltà cristiana? Non crede che l´umanità tenda a un altro sistema di valori, forse più semplice e crudele rispetto al cristianesimo? Sa a cosa mi riferisco?
C.M.: Lo so.(…)
J.B.: A guardare indietro alle esperienze del nostro secolo si ha la sensazione che ci sia stata un´indubbia fuga dall´amore, vero? Fuga verso un atteggiamento meno generoso nei confronti dell´essere umano. All´inizio abbiamo parlato dell´assurdo e della sua trappola in letteratura: è stato un buon sviluppo stilistico, ma cosa ha davvero preannunciato dei rapporti artista-società? Una sua ultima conseguenza è stata che molti hanno abbracciato l´idea dell´assurdo. Non c´è niente di male a sostenere l´assurdo solo per se stessi, nella propria produzione artistica, diverso è invece se nell´appartamento accanto qualcuno che non è artista viene gravemente colpito proprio a causa dell´assurdo di questo secolo. La scelta di un linguaggio esistenziale e stilistico può condurre all´estasi un artista e proprio il trionfo dell´assurdo può recargli il conforto maggiore, quello di potersi definire realista (…). Lei crede che il cristianesimo con i suoi due principali concetti di tolleranza e amore possa sopravvivere in un prossimo futuro, considerata la pressione demografica e le guerre di religione che spesso la affiancano, le tendenze nichilistiche di un Occidente già spiritualmente indebolito e l´egocentrismo dell´ambizione artistica (in fondo male minore)?
C.M.: Sì, sopravvivrà. Quanto al ruolo dell´assurdo le racconterò una storia vera: quando assistetti a una delle prime messe in scena di Aspettando Godot a Parigi, il pubblico era “scelto”, era gente che seguiva le nuove correnti artistiche. In effetti la pièce ha molti momenti di humour macabro e tutto fa parte dell´assurdo, ma quelle scene in cui Pozzo tortura Lucky fecero scoppiare a ridere gli spettatori. Io ne fui indignato. Quell´ilarità e la mia indignazione rispondono in qualche misura alla sua domanda.(…)
J.B.: Cosa pensa di Pasternak? (…)
C.M.: Da giovane ricevetti in regalo da un amico la sua raccolta La seconda nascita. Allora non mi resi conto che il titolo si riferiva alla verità del marxismo, in quei versi vedevo solo pensieri sull´arte, sulla natura, niente di politico. Molti anni dopo partecipai a una conferenza in cui Koržavin parlò proprio di quel testo. Disse: Ero un ragazzino e mi dissi che tutto nel nostro paese era bello, Pasternak mi convertì allo stalinismo. Perciò Pasternak è responsabile come seduttore: Nadežda Mandelštam nelle sue memorie scrive che un poeta può essere tutto, ma non un seduttore.
J.B.: Sono le parole di Auden su Yeats, vero? Quello che lei ha detto di Pasternak è l´applicazione di un principio etico e non estetico nei confronti del poeta. In questo secolo la letteratura russa ha dato al suo popolo sei o sette poeti assolutamente stupendi. In un paese in cui è tanto forte l´autorità dello Stato, della Chiesa ortodossa e del pensiero filosofico, ai poeti spetta il ruolo di mostrare il più alto potenziale umano. In questo modo i russi in un certo senso hanno a disposizione sette Santi, con cui si possono identificare a scelta. Non pretendo da lei delle dichiarazioni, ma, nella misura in cui conosce la poesia russa con chi di quei cinque o sei poeti si potrebbe identificare?
C.M.: Con Mandelštam direi. Ma non per il suo mito, a parer mio un po´ falso, lui ha attraversato fasi diverse e io non voglio contribuire a perpetrare certe leggende in cui appare come un santo della libertà. Mi potrei sentire Mandelštam a causa del suono metallico di certi suoi versi.
J.B.: Ha degli amori inglesi? Amori, semplicemente…
C.M.: Tra gli anglosassoni Whitman. Per me è un poeta simile ai pittori del passato, capaci di prendere un frammento di una grande tela e di mostrarvi sopra il mondo.
J.B.: Proprio così.
C.M.: Questo mi piace. E corrisponde alla perfezione di un certo atteggiamento, onnivoro verso la realtà.
(traduzione di Giovanna Tomassucci)
© The Estate of Czeslaw Milosz
© The Estate of Joseph Brodskij
0 comments