I grandi processi consultabili all’Archivio di Stato
I grandi processi consultabili all’Archivio di Stato
ROMA — Il processo per il golpe Borghese riempie ottantanove raccoglitori di carte, il totale dei primi tre dedicati al sequestro e all’omicidio di Aldo Moro arriva a trecentodieci. Poi c’è il dibattimento per l’attentato a Giovanni Paolo II, novanta faldoni di documenti, mentre quello per la rapina all’ufficio postale di piazza dei Caprettari — con un poliziotto abbattuto da una raffica di mitra sparata dai banditi, in pieno centro, nel 1975 — si ferma a undici. Gli atti raccolti nel 1983 per giudicare 253 imputati del reato di insurrezione armata contro i poteri dello Stato sono contenuti in 160 faldoni.
Sono i numeri dei grandi processi celebrati davanti alla Corte d’assise di Roma tra il 1951 e il 1990, che il tribunale ha deciso di cedere all’archivio di Stato. Quarant’anni di attività giudiziaria sfociata in accusatori, accusati e testimoni che sfilavano davanti ai giudici popolari; casi grandi e piccoli, episodi di malavita noti e meno noti, attentati e trame rosse e nere che hanno segnato la vita pubblica nella cosiddetta «prima Repubblica». Quelle carte ormai ingiallite e sfrangiate al limite del deterioramento, chiuse finora nei sotterranei del Palazzo di giustizia, saranno trasferite nella sede dell’Archivio romano dello Stato, a disposizione degli studiosi: così la cronaca si trasforma, ufficialmente, in storia.
«È un momento importante, un segnale di transizione anche generazionale — spiega il direttore dell’Archivio, Eugenio Lo Sardo —. Con la consegna di questi documenti si passa dal momento della valutazione giudiziaria a quello di una riflessione critica e storica su eventi cruciali per l’esistenza collettiva. Basti pensare alla vicenda Moro, per la quale tutti si ricordano dov’erano e che cosa stavano facendo quando hanno saputo del rapimento e dell’omicidio». Proprio al presidente della Democrazia cristiana assassinato dalle Brigate rosse nel 1978 è dedicato l’anticipo di questa operazione: il restauro delle lettere autografe di Aldo Moro scritte nella «prigione del popolo», che rischiavano di ammuffire nelle cartelline di plastica dov’erano custodite, e oggi saranno esposte al Salone della giustizia in corso in a Roma. «La costruzione di una memoria collettiva su un episodio centrale per la storia del Paese passa anche da operazioni come queste», spiega il presidente del tribunale Paolo De Fiore, che ha firmato i protocolli con l’Archivio di Stato e sta seguendo personalmente i diversi passaggi burocratici per il trasferimento dei fascicoli.
La mole degli incartamenti assegnati alla custodia pubblica raggiunge cifre impressionanti. Si tratta di 2.368 dibattimenti svoltisi nel corso di quattro decenni, che messi in fila uno dopo l’altro occupano 792 metri di scaffalature. Due giri completi di un campo di calcio. Dietro questi dati statistici si nascondono fatti che hanno coinvolto persone e travolto esistenze nelle quali è possibile continuare a scavare proprio a partire dagli atti processuali, che possono accendere i ricordi di chi ne è stato protagonista ed è ancora in vita, la curiosità di chi vi ha assistito, l’interesse di chi ha solo potuto leggerne qualcosa sui giornali o sui libri.
Si può risalire al caso di Wilma Montesi, la ventunenne trovata morta e mezza svestita sulla spiaggia di Torvaianica nell’aprile 1953, primo scandalo a sfondo sessuale che coinvolse la politica di quel tempo. O ancora ai delitti di Maria Fenaroli di cui fu accusato il marito (1958), di Christa Wanninger pugnalata in un appartamento di via Veneto all’epoca della «Dolce vita» (1963), dell’uomo d’affari egiziano Faruk Chourbagi ucciso nel 1964: i coniugi Claire e Yousseph Bebawi si accusarono vicendevolmente fino ad essere assolti in primo grado, in appello furono entrambi condannati quando erano già fuggiti all’estero. Sono «fattacci» di cronaca nera sui quali si divise l’opinione pubblica non solo a Roma, che si sommano a vicende di cui fu teatro la capitale ma investirono l’intera nazione. Come le gesta dei terroristi rossi e neri, sfociate nei processi alle Br e alle altre formazioni eversive di destra e di sinistra. Andando a spulciare tra quei faldoni gli studiosi potranno entrare nei dettagli dei giudizi per gli omicidi e i ferimenti commessi dalle diverse bande armate degli anni Settanta, ricostruire i percorsi delle vittime e degli assassini. O entrare nei meandri delle inchieste contro Autonomia operaia — Toni Negri più 44 imputati — che provocarono polemiche mai del tutto sopite. E provare a capire perché, nonostante le sentenze definitive, certi misteri non sono stati svelati e sono rimasti tali: dal caso Moro, per l’appunto, al golpe Borghese, all’attentato al papa.
Manca il processo per la strage di Ustica, perché sul Dc9 abbattuto la sera del 27 giugno 1980 c’è ancora un’indagine aperta e dunque le carte non possono ancora lasciare il palazzo di giustizia. E manca un delitto importante rimasto misterioso come quello di cui fu vittima Pier Paolo Pasolini, celebrato davanti al tribunale dei minori; altra gestione, altri archivi. Ci sono invece gli atti del processo per la morte di Vincenzo Paparelli, il tifoso laziale ucciso all’Olimpico da un razzo lanciato dalla curva romanista, prima di un derby, il 28 ottobre 1979. Anche la violenza da stadio entra nella storia d’Italia passata dalle aule di giustizia.
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