La cellula terrorista responsabile dei «delitti del kebab» mirava più in alto
La cellula terrorista responsabile dei «delitti del kebab» mirava più in alto
BERLINO — La più amareggiata è Gamze, ventidue anni, figlia di Mehmet Kubasik, ucciso con un colpo di pistola alla testa nel suo chiosco di Dortmund come altri sette piccoli commercianti di origine turca, un greco e una agente di polizia dal 2000 al 2006 in varie città della Germania. «I sospettati — ha detto la ragazza alla Bild — eravamo noi. Sono state compiute indagini su presunte attività illecite di mio padre e non è stata mai presa in seria considerazione la nostra ipotesi che fosse stato assassinato dai neonazisti». Non solo questa era la pista giusta, ma si è appena scoperto che la cellula «Clandestinità nazionalsocialista» responsabile degli «omicidi del kebab», teneva nel mirino 88 (numero caro ai nazisti perché richiama il nome di Hitler) esponenti politici tedeschi. Forse pensava di cambiare strategia, cercava un «salto di qualità». Tra gli schedati, il portavoce per gli affari interni del gruppo cristiano-sociale al Bundestag Hans-Peter Uhl, e il deputato verde Jerzy Montag, presidente dell’intergruppo parlamentare Germania-Israele.
«Dov’erano in questi anni le forze di sicurezza?», si chiedono da giorni tutti i giornali tedeschi. Solo lo strano «suicidio» di Uwe Mundlos e Uwe Böhnhardt, infatti, e le prove trovate sia nel camper, dove i due si sono sparati a vicenda, che in un appartamento di Eisenach (incendiato dalla loro complice, Beate Zchsäpe, costituitasi poi alla polizia) hanno fatto scoprire la loro lunga catena di crimini, alcuni dei quali sono stati raccontati in un modo che voleva essere comico, Pantera rosa compresa, in un dvd finito nelle mani della polizia. Un altro aspetto molto preoccupante di questa vicenda è che benché i due neonazisti fossero largamente noti agli investigatori, non si sia cercato mai di scoprire le ragioni del loro passaggio alla clandestinità, avvenuto nel 1998, e non sia stato mai fatto nessun collegamento con alcuni gravi attentati, in uno dei quali, a Colonia nel 2004, rimasero feriti ventidue immigrati turchi.
Nessuno si è mosso, insomma, nonostante la fitta rete di informatori presente nei gruppi di estrema destra e la possibilità di smascherare le complicità di cui la cellula poteva contare nel mondo dell’eversione nera. Da questa galassia ai confini della legalità provengono le due persone che sono state arrestate nelle ultime ore per aver aiutato Mundlos e Böhnhardt procurando documenti falsi, automobili, contratti d’affitto. Molti interrogativi anche sul ruolo di Beate Zchsäpe. La donna, che teneva i rapporti con l’esterno, ha spesso partecipato tranquillamente ad iniziative politiche della Npd, il partito neonazista presente nel parlamento di due Länder tedeschi, la Sassonia e il Meclemburgo-Pomerania anteriore. Proprio un possibile scioglimento della Npd, che fu bloccato nel 2003 dalla Corte Costituzionale, è uno dei temi al centro del dibattito. Angela Merkel, che ha definito quanto è accaduto «una vergogna», ci sta pensando, ma molti esperti e buona parte del mondo politico lo ritengono un provvedimento inutile se non addirittura controproducente. Dal ministro dell’Interno Hans-Peter Friedrich è venuta la proposta di un registro nazionale con i dati dei più pericolosi estremisti di destra. Perplessa, tanto per cambiare, la liberale Sabine Leuthesser-Schnarrenberger, ministro della Giustizia. Ma questo caso ormai non riguarda solo la sicurezza interna del Paese. Come ha ammesso il ministro degli Esteri Guido Westerwelle è in gioco anche «la reputazione della Germania nel mondo». Insieme all’ambasciatore di Ankara, Westerwelle ha visitato l’organizzazione della comunità turca, il cui presidente, Kennan Kolat, non aveva nascosto il suo disappunto per la mancanza di una forte reazione dell’opinione pubblica tedesca dopo la scoperta della verità sugli omicidi. Il governo sta pensando, intanto, ad una cerimonia pubblica di cordoglio. Un gesto significativo, che purtroppo non potrà rimediare agli errori compiuti.
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