Due piccoli saggi di Mario Perniola e Valerio Magrelli sostengono la stessa tesi provocatoria
Due piccoli saggi di Mario Perniola e Valerio Magrelli sostengono la stessa tesi provocatoria
Attorno a Silvio Berlusconi, ora che è uscito di scena, circolano molte analisi. Alcune sorprendenti. Come quelle prodotte in un pamphlet (in uscita per Mimesis) a firma Mario Perniola, e in un feroce dialoghetto (Einaudi) ambientato agli inferi (sulla falsariga di quello di Maurice Joly, scritto un secolo e mezzo prima), costruito da Valerio Magrelli. Entrambi gli autori – espressione della sinistra più che pentita, intelligente e inquieta – hanno provato a rileggere il quasi ventennio berlusconiano come fosse una perversa, e a tratti grottesca, realizzazione dei principi in voga nel Sessantotto. Strani accoppiamenti, verrebbe da dire. Ma provate a scavare sotto la superficie di cose ovvie, dette e fatte in quel periodo: la contestazione nelle piazze, l´occupazione delle scuole, il sostegno a una democrazia diretta depurata dalle astrazioni borghesi. E avrete un´idea di come il berlusconismo sia diventato la malattia senile del sessantottismo, la sua ultima incarnazione nel tutto è lecito, tutto è consentito. Nel nome del godimento.
In Berlusconi o il ´68 realizzato Perniola stigmatizza il clima di irresponsabilità creato da chi, poco più di 40 anni fa, mise al centro del vasto programma l´immaginazione al potere. Allora, i corollari necessari furono: fine di una certa idea di scuola e di università fondate sul merito e l´autorità; fine della famiglia, legata ai valori tradizionali; fine del lavoro materiale con annesso rifiuto della fabbrica come luogo di sfruttamento; fine della cultura, identificata con il sapere borghese. Si può dire che quel programma abbia avuto in qualche modo successo? Nell´era del berlusconismo i modelli culturali non passano più attraverso la scuola, l´università, la famiglia, il lavoro, ma sono stati filtrati e condizionati dalla televisione, “che rispecchia il comune modo di sentire”, chiosa Perniola. In questa prospettiva, tutto diventa possibile, perché tutto è desiderabile. L´immaginazione al potere non è poi così distante dall´intrattenimento al potere, che è per definizione antiautoritario. Come il Sessantotto, appunto.
Ma in che senso lo spirito antiautoritario di allora avrebbe influenzato Berlusconi? “Lo slogan l´immaginazione al potere gli calza a pennello – scrive Perniola. E per quanto dal punto di vista personale sembra non abbia vissuto il fortissimo conflitto generazionale di quel periodo, tuttavia è stato in consonanza con la negazione di ogni autorevolezza della tradizione intellettuale che comincia a manifestarsi in quell´epoca”. Berlusconi avrebbe, insomma, liberato gli italiani dal complesso culturale. O meglio: “Ha liberato l´ignoranza degli italiani da ogni cattiva coscienza, da ogni colpa, da ogni vergogna, portando a termine un processo iniziato nel Sessantotto sotto un´altra bandiera”.
Se Perniola critica l´ottundimento delle coscienze in questi anni narcotizzati dal sogno berlusconiano, ne Il Sessantotto realizzato da Mediaset Magrelli punta il dito contro l´irresponsabilità della sinistra incapace di contrastare la strepitosa macchina del consenso allestita da Forza Italia, la quale “ha vinto perché gran parte della società non è apparsa in grado né di comprendere né di proteggere i suoi interessi reali, preferendo agire in difesa di quelli immaginari. Il vero post-fordismo, il vero post-marxismo sta tutto qui. Altro che mondo operaio: viviamo nell´incantesimo del Pifferaio di Hamelin, nello stato dell´ipnosi procurato da un autentico Mago della comunicazione”. Nel passaggio da un´economia fondata sul lavoro a un´economia (perlopiù immateriale) fondata sulle relazioni immaginarie e desideranti si assiste osserva Magrelli “alla vittoria dello spirito sulla carne, della psiche sul denaro, del regime libidinale sul discorso economico. Non ce lo aspettavamo, eppure, benché nel peggiore dei modi, l´Immaginazione è davvero arrivata al potere. Così la parola d´ordine del Sessantotto è stata realizzata da Mediaset”.
Berlusconi sarebbe dunque l´ultimo grande ideologo di un´utopia che si è trasformata in un mondo in cui i soli valori sono dettati da presentatori, tronisti, veline e sportivi. Si tratta di una lettura insolita della nostra storia più recente. Che trova un avallo inatteso nelle analisi di Giuseppe De Rita: anche il sociologo cattolico ritiene che Berlusconi sia il frutto culturale degli anni ´60 e ´70. In altre parole, interpreterebbe una forma esasperata di “soggettivismo etico” portato fino alla licenza personale. La libertà di essere se stessi, riassumibile in pochi slogan: è mio il corpo, è mio il piacere, è mia l´azienda. Dunque il nostro ex premier come l´ultima icona del Sessantotto, che ricorderemo accanto ai volti di Don Milani, del Che e di Guy Debord?
I padri dello spontaneismo dichiarato e i teorici della contro-cultura respingeranno la tesi che il ´68 fu soprattutto un fenomeno di costume e di consumo centrato sulla frenetica comunicazione massmediatica. Eppure, per quanto possa apparire paradossale, si può percepire un´”aria di famiglia” tra certe idee predicate allora e realizzate oggi. E non è solo perché quegli anni, formidabili lo furono soprattutto sotto l´aspetto pubblicitario. O, come nota Magrelli, perché alcuni esponenti della contestazione, venticinque o trent´anni dopo, siano andati a dirigere i telegiornali. E neppure, come spiega Perniola, perché con “Berlusconi si chiude un periodo storico iniziato negli anni Sessanta, nel quale le basi logiche del pensare e dell´agire sono state sostituite da un sentire collettivo manipolato e delirante, lunatico e stravagante”. C´è qualcosa di più epocale e di meno confinabile al caso italiano. È come se la modernità divorando se stessa, abbia seminato in noi il terrore di non essere mai esistiti. E Berlusconi è solo l´ultima figura del nichilismo: che ha riempito, finché ha potuto, il vuoto con il vuoto.
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