La chiamano 'obbedienza civile', in un rovesciamento semantico che porta alla luce tutta la gravità  della situazione: oltre cinque mesi dopo la firma dei referendum sull'acqua, nulla - o quasi - è stato fatto per garantire che il bene sia pubblico e per tutti. Per questo, la dis-obbedienza diventa obbedienza civile. Obbedienza ai cives, a quei 27 milioni di cittadini che il 13 giugno scorso hanno votato 'sì' in plebiscitaria maggioranza.

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Per un’acqua di tutti

Torna in piazza il Forum dell’acqua. Cinque mesi dopo i referendum, il cui dettato è rimasto lettera morta

La chiamano ‘obbedienza civile‘, in un rovesciamento semantico che porta alla luce tutta la gravità  della situazione: oltre cinque mesi dopo la firma dei referendum sull’acqua, nulla – o quasi – è stato fatto per garantire che il bene sia pubblico e per tutti. Per questo, la dis-obbedienza diventa obbedienza civile. Obbedienza ai cives, a quei 27 milioni di cittadini che il 13 giugno scorso hanno votato ‘sì’ in plebiscitaria maggioranza.

Torna in piazza il Forum dell’acqua. Cinque mesi dopo i referendum, il cui dettato è rimasto lettera morta

La chiamano ‘obbedienza civile‘, in un rovesciamento semantico che porta alla luce tutta la gravità  della situazione: oltre cinque mesi dopo la firma dei referendum sull’acqua, nulla – o quasi – è stato fatto per garantire che il bene sia pubblico e per tutti. Per questo, la dis-obbedienza diventa obbedienza civile. Obbedienza ai cives, a quei 27 milioni di cittadini che il 13 giugno scorso hanno votato ‘sì’ in plebiscitaria maggioranza.

Il 95 percento di loro chiedeva che venissero abrogate le norme sulla “modalità di affidamento e gestione dei servizi pubblici locali di rilevanza economica”. In vulgo, che i servizi idrici diventassero di nuovo pubblici. Che l’acqua fosse un bene accessibile. E che fosse per tutti. Il secondo quesito del referendum esigeva che i gestori degli acquedotti non potessero ricavare utili da tali servizi, abrogando la legge Ronchi. Perché non è successo nulla? Da oggi scende in piazza in tutte le città d’Italia il Forum per l’acqua, cartello delle organizzazioni a sostegno dell’applicazione del referendum. Paolo Carsetti, referente del comitato ‘Acqua bene comune‘, spiega a PeaceReporter il come e il perché della protesta.

Cosa significa obbedienza civile?

E’ un termine provocatorio. Chiediamo, a partire dalla manifestazione nazionale di oggi a Roma, che si obbedisca al mandato dei cittadini espresso il 12 e 13 giugno, perché nessuno, tra governo e istituzioni locali, sta seguendo il dettato referendario. A partire dal Forum per l’acqua, fino a tutti i comitati territoriali che lo compongono, andremo a chiedere ai cittadini di fare un ulteriore sforzo, che significa andare a eliminare dalla tariffa la quota relativa ai profitti. E quindi ricalcolare la tariffa e pagarla in attuazione del secondo quesito referendario (nella tariffa alla voce ‘remunerazione del capitale investito, il 7 percento, ma, in bolletta, tra il 10 e il 20 percento, ndr).

Cosa avrebbe dovuto esser fatto?

In particolare, c’è un tentativo di cancellazione del referendum col decreto del 13 agosto, la cosiddetta manovra estiva. All’articolo 4 di questo decreto è stata riproposta la stessa norma abrogata col primo quesito referendario, il decreto Ronchi, e cioé l’obbligo di privatizzazione di tutti i servizi pubblici locali a partire dal marzo 2012. L’articolo 5 arriva addirittura a dare un premio, un incentivo ai comuni che daranno seguito alle disposizioni di legge, e quindi privatizzeranno. Il governo dice che è escluso per il momento il servizio idrico, ma lo stesso governo dimentica che il decreto Ronchi riguardava tutti i servizi pubblici.

Per quanto riguarda la possibilità dell’ente gestore di ‘creare profitto’ dal comparto idrico?

Era il secondo quesito, e parlava di eliminare i profitti garantiti ai gestori dalle tariffe, anche qui non si è proceduto all’attuazione. Nessun Ato (ambito territoriale ottimale, i ‘consorzi’ di gestione delle acque, ndr) ha provveduto a eliminare questa voce dalle tariffe, nonostante la Corte costituzionale, nella sentenza di ammissibilità del quesito sanciva espressamente che la nuova normativa, in caso di abrogazione, sarebbe stata immediatamente applicabile. Questo non è avvenuto se non per l’Ato del bellunese. Da una parte si vuole cancellare l’abrogazione, con il decreto del 13 agosto, rafforzato con la legge di stabilità, dove si arriva addirittura a chiedere il commissariamento degli enti che non daranno seguito alla privatizzazione, e dall’altro c’è il disconoscimento dell’esito referndario.

Cosa vi ha insegnato il referendum?

La campagna referendaria è stato un evento straordinario nella vita democratica del Paese. Sia nella sua organizzazione, circa due milioni di persone si sono attivate per la sua promozione, sia per il risultato: otlre 27 milioni di persone hanno votato. E’ un attacco fortissimo alla democrazia, perché la maggioranza assoluta del popolo italiano ha deciso che non si deve privatizzare l’acqua e i servizi pubblici locali. E governo e Parlamento stanno disattendendo questo mandato.

Nessuno ha cominciato a innescare il processo di re-pubblicizzazione degli enti locali che gestiscono l’acqua?

Napoli è il primo comune che dà seguito a quelli che erano i princìpi del referendum. Ovvero rendere pubblico ciò che pubblico dovrebbe essere. Quando si parla di partecipazione dei cittadini, si prevede la partecipazione diretta ad alcuni organi di governance da parte appunto di cittadini, di comitati, di associazioni. E’ una partecipazione diretta, e non solo una partecipazione azionaria. Ad oggi, sulla carta ci sono tutte le condizioni perché si avvii ovunque un processo di gestione e partecipazione pubblica del servizio idrico. Quindi, torniamo in piazza a chiedere con forza il rispetto di ciò che è dovuto ai cittadini.

Tutte le iniziative di oggi e dei prossimi giorni sono pubblicate sul sito del Forum italiano dei movimenti per l’acqua.

 

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