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Parlato: ribelle e perfezionista, voleva andarsene in modo pulito

“Ero contrario, abbiamo litigato ma con la sua scelta ha dimostrato di governare la vita fino in fondo”. Lucio è sempre stato così, quando si metteva in testa una cosa… Forse dovevo arrabbiarmi di più con lui per convincerlo a fermarsi. Era un po’ egocentrico, narciso, convinto di essere bello. A ottant’anni però, diceva, resta solo un’avvenire di malattie. Un gesto di razionalità  estrema, ma ha contato anche la perdita della moglie: voleva morire con lei, Mara glielo impedì

“Ero contrario, abbiamo litigato ma con la sua scelta ha dimostrato di governare la vita fino in fondo”. Lucio è sempre stato così, quando si metteva in testa una cosa… Forse dovevo arrabbiarmi di più con lui per convincerlo a fermarsi. Era un po’ egocentrico, narciso, convinto di essere bello. A ottant’anni però, diceva, resta solo un’avvenire di malattie. Un gesto di razionalità  estrema, ma ha contato anche la perdita della moglie: voleva morire con lei, Mara glielo impedì

ROMA – «Che volete sapere da me? Posso dire che è un gesto che attiene alla sua personalità, mescolanza di razionalità pura e di passione. E poi l´anagrafe non è cosa da sottovalutare. Avere ottant´anni, che si fa più? Solo un avvenire di malattie, questo Lucio me lo ripeteva spesso». Valentino Parlato passa veloce nei corridoi del Manifesto, le spalle leggermente incurvate, il sorriso accennato, lo sguardo affettuoso. I redattori lo salutano con serena sobrietà, l´abbracciano ma senza lutto, coi padri si fa così, li si rassicura per esserne rassicurati. Arriva una telefonata della Rossanda, che racconta il suo ultimo viaggio con Lucio. È stata lei, la sorella maggiore, l´amica forte e generosa, ad accompagnarlo in Svizzera. L´ex direttore Barenghi tenta di alleggerire l´atmosfera con ricordi di zuffe lontane. Parlato asseconda, è gentile, ma come distante: «Mi mancano i miei amici. Mi manca Luigi. E mi manca Aldo Natoli. Con loro mi sarebbe piaciuto parlare di Lucio, del suo gesto».
Lei, Parlato, come lo decifra?
«È il prodotto di una razionalità estrema, ma non possiamo trascurare la cifra sentimentale, la scomparsa della moglie. Per un uomo avventuroso come lui, Mara rappresentava l´ordine, l´ancoraggio forte. Lucio ha cominciato a morire insieme a lei».
Ve ne parlava?
«Sì, raccontava che avrebbe voluto morire con Mara, ma che lei gliel´aveva impedito. No, devi finire il libro, devi scrivere il saggio sul comunismo, ci tieni tanto. E io – diceva – le ho tenuto fede, ho concluso il libro. E ora sono arrivato al termine».
Un singolare impasto di raziocinio e romanticismo.
«Ma Lucio era questo, anche nella sua vita politica. Passione e ragione. Se penso a tutte le volte che abbiamo litigato…».
L´ultima volta?
«No, recentemente ci azzuffavamo non sulla politica ma su questa sua decisione di farla finita, però niente da fare. Lucio è sempre stato così, quando si mette in testa una cosa… Litigi accesissimi ci furono quando il Pdup nel 1973 annunciò di voler fare del Manifesto un organo di partito. Figurarsi Luigi, Rossana ed io, che i partiti li detestavamo, poi anche il Pdup non è che ci piacesse tanto».
Ma è vero che non “vi pigliavate”, caratteri diversi?
«Lui raziocinante e incline alla teoria, io “arrangista” e fatalista: due modi diversi di stare al mondo…».
E tra Magri e Pintor erano scintille?
«Un rapporto conflittuale e insieme solidale. Avevano due personalità mica da ridere, con due opposte concezioni del giornale e della politica. Maggiori affinità legavano Lucio e Rossana, attenti alle ragioni della ricerca teorica e appassionati entrambi di filosofia tedesca. A Luigi della filosofia non gliene fregava niente».
Il fratello Giaime era un grande germanista.
«Sì, Luigi amava molto Rilke. Ecco proprio su questo classico di recente ho litigato con Lucio. Recensendo il libro di Luciana Castellina, scrissi che senza Rilke il Manifesto non ci sarebbe stato. Lucio la prese malissimo, “ma che cazzo c´entra Rilke con la lotta di classe?”…».
Vi vedevate spesso?
«Sì, abitiamo vicini, lui in piazza del Grillo e io in via del Boschetto. Ci capitava di giocare a scopone. Se non vinceva, si seccava».
Manie di protagonismo?
«Era un po´ egocentrico, narciso sì, d´una vanità singolare. Era convinto di essere bello».
Lo era.
«Sì, ma anche di essere agile. Quando salivamo le scale, faceva quattro scalini per volta. Anche negli ultimi tempi».
E i suoi amori un po´ spettacolari, il legame con Marta Marzotto?
«Cazzate di Lucio».
Era un perfezionista?
«In tutte le cose che faceva, era costituzionalmente spinto ad eccellere. Anche quando scriveva un articolo. Io riesco a farli così così, lui no, poteva starci giorni. Era molto meticoloso».
Lo è stato anche in morte: tutto deciso nel dettaglio.
«Sì, le pompe funebri già allertate, la lettera ai compagni».
Una morte estetica?
«No, una morte pulita. Voglio morire senza sfasciarmi sul selciato o in qualche altro modo atroce. Avrebbe voluto che passasse sotto silenzio. Cosa impossibile».
Un gesto che secondo lei ha un valore politico?
«Solo nel senso di dire “no”. Un “no” alla politica italiana dell´ultimo ventennio, sinistra inclusa. “La sinistra italiana che conosciamo è morta”, scrisse Luigi poco prima di morire. Così la pensava anche Lucio».
Ma lui voleva dare al suo suicidio un carattere di denuncia?
«No, è stato un gesto personale. Però non gli saranno sfuggite le conseguenze pubbliche. Voglio anche aggiungere che questo suicidio fa crescere il peso della sua personalità, la sua capacità di governare la vita fino in fondo».
Lei difende il diritto al suicidio?
«Sì, se uno è padrone della vita è anche padrone della sua fine. Nella Costituzione non c´è scritto che tutti i cittadini hanno il dovere di campare finché morte naturale non li fulmini».
Per uno che ha fatto politica per tutta la vita non è una fuga?
«No. È un giudizio definitivo sulla propria condizione, e sullo stato più generale delle cose, come se dicesse: per me, a 80 anni, non c´è più niente da fare».
Eretico in vita. Ed eretico in morte.
«La verità è che questo suicidio mi turba profondamente. Ho come l´impressione di non aver fatto abbastanza. Non mi sono arrabbiato abbastanza. L´ho subìto, insomma, e non me lo perdono».

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