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Ovadia: vi racconto il destino comune degli ebrei e dei rom

Nel recital “Senza confini” due storie tra parole e musica “Sono entrambi protagonisti di un capolavoro culturale. Fedeli alla loro identità , mai omologati, vittime per questo dell’Occidente colonialista”

Nel recital “Senza confini” due storie tra parole e musica “Sono entrambi protagonisti di un capolavoro culturale. Fedeli alla loro identità , mai omologati, vittime per questo dell’Occidente colonialista”

Due popoli, un solo destino di esilio. Moni Ovadia torna in scena con Senza confini, un recital tra musica e parole dedicato a ebrei e zingari, ovvero ai perseguitati, agli emarginati, agli sterminati. In una parola ai diversi che hanno pagato la loro alterità con secoli di vessazioni.
«Gli ebrei della diaspora e i rom hanno in comune parecchie cose – spiega Ovadia, come sempre sulle barricate dell´impegno civile contro ogni forma di razzismo – prima di tutto sono i protagonisti di un grande capolavoro di cultura: entrambi hanno dimostrato che si può essere popolo senza bisogno di frontiere, di eserciti e di burocrazia. Ubiqui e non omologati, fedeli alla loro identità. Per questo l´Occidente colonialista, convinto che la conformità e non la diversità sia un valore, li ha sterminati».
Partendo da questo presupposto, il cantore della memoria ebraica fa leva sulla storia del suo popolo per cantare le sorti di altri oppressi, i rom. «Perché gli ebrei hanno ottenuto il riconoscimento del loro calvario e sono entrati nel salotto dei vincitori: oggi anche gli eredi di chi li ha perseguitati si dicono loro “amici”. La sorte dei rom invece resta quella di sempre: essere odiati e discriminati anche presso gli ambienti che si vorrebbero progressisti e riformisti». Ecco dunque che lo spettacolo si apre con una canzone yiddish composta da un ebreo internato ad Auschwitz per i fratelli zingari, allarga alla musica klezmer, ma poi, grazie ai formidabili musicisti che lo accompagnano sul palco (Paolo Rocca, Massimo Marcer, Ion Stanescu, Albert Florian Mihai, Marian Serban, Marin Tamasache), vira decisamente verso la strepitosa tradizione musicale rom e sinti.
La formula è quella di cui Ovadia è maestro, il montaggio rapsodico di canzoni, melodie, pensieri, letture, frammenti, compreso la prefazione ad Ebrei erranti di Joseph Roth dove «basta sostituire la parola ebreo con la parola rom e anziché scritto nel 1927 sembra la fotografia di oggi». Quel che preme a Ovadia è ristabilire uno sguardo capace di azzerare il pregiudizio razzista. «I rom meriterebbero il Nobel per la pace – continua – non hanno mai fatto guerra a nessuno. La verità è che ci piacerebbe essere come loro. Li rifiutiamo perché ci mettono davanti alla nostra miseria. Loro la vita la vivono, non la consumano come un defatigante succedersi di mediazioni e di ambizioni di successo». Ecco perché, con questo spettacolo pieno di musica, di energia e di spirito, Moni Ovadia spera di dare il suo «piccolo contributo». Da ebreo che fa sue le parole del profeta Isaia: «Non ne posso più dei vostri sacrifici, dei vostri incensi, del vostro genuflettervi. Ma rialzate l´oppresso, praticate la giustizia, difendete la causa dell´orfano e della vedova».

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