NICARAGUA Scontri con morti e feriti dopo il 62% attribuitogli nel voto di domenica
Critici gli osservatori, silenzio Usa. Le accuse di brogli non toccano il risultato ma la sua consistenza: l’ex guerrigliero ha ora il controllo totale del paese
NICARAGUA Scontri con morti e feriti dopo il 62% attribuitogli nel voto di domenica
Critici gli osservatori, silenzio Usa. Le accuse di brogli non toccano il risultato ma la sua consistenza: l’ex guerrigliero ha ora il controllo totale del paese MANAGUA. Primi morti nelle tensioni post-elettorali in Nicaragua dove l’ex comandante guerrigliero Daniel Ortega si è riconfermato domenica alla presidenza della repubblica con un amplissimo e assai sospetto margine, 62%. Nel dipartimento settentrionale di Madriz tre militanti dell’oppositore Partito liberale indipendente (Pli) che protestavano per presunti brogli sono stati uccisi dalla polizia, il cui capo è stato sospeso e arrestato insieme al segretario locale del Fronte sandinista. Nella zona mineraria di Siuna è stato invece un militate sandinista a essere ammazzato. In totale una cinquantina di poliziotti e un numero imprecisato di manifestanti sono rimasti feriti nei violenti scontri in tutto il paese.
I conflitti hanno preso il via martedì dopo che il candidato sconfitto (fermatosi al 30%) Fabio Gadea ha definito «una farsa» il risultato delle urne, sollecitando la ripetizione del voto. Sono partite così le mobilitazioni in tutto il paese, Managua compresa; anche se molto più numerosi ed agguerriti sono stati i «danielisti» scesi subito in strada a «difendere il voto».
Gli osservatori dell’Unione europea hanno emesso un rapporto molto severo e dettagliato delle anomalie ed irregolarità che si sono registrate ai seggi. Il responsabile della missione, Luis Yanez, ha accusato il Consiglio supremo elettorale di scarsa indipendenza ed equanimità (i suoi membri, a mandato scaduto, erano stati prorogati arbitrariamente da Ortega) e di aver intralciato o impedito il monitoraggio indipendente degli osservatori. Solo nel 63% dei 550 seggi osservati (su 13.200) le operazioni di voto si sarebbero svolte regolarmente. Yanez ha poi denunciato: la mancata depurazione dai defunti delle liste elettorali; la discriminazioni nella distribuzione dei certificati di voto; i frequenti casi di schede distribuite più volte a singoli militanti del Fronte che avrebbero quindi votato più volte; la mancanza di osservatori di lista dell’opposizione nella stragrande maggioranza dei seggi; e l’arbitraria inibizione della candidatura di membri del Pli.
Un mistero invece quanto successo fra gli osservatori dell’Organizzazione degli stati americani (Osa) dove il capo missione, l’ex ministro degli esteri argentino Dante Caputo, dopo aver segnalato le molte irregolarità e l’impossibilità di accedere al 20% dei seggi, è stato sconfessato dal segretario generale dell’Osa, il cileno Miguel Insulza, che senza essere venuto a Managua, ha parlato di «festa popolare e della democrazia in Nicaragua». Singolare il profilo basso mantenuto dall’ambasciata Usa.
Sta di fatto che nessuno della comunità internazionale si vuole avventurare a dichiarare l’invalidità di queste elezioni. Anche perché è difficilmente contestabile l’affermazione di Daniel Ortega, cresciuto nei consensi grazie a una politica assistenzial-populista sostenuta dal petrolio (che ha risolto i gravi problemi energetici del paese) e dalle centinaia di milioni di dollari assicurati dall’amico venezuelano Hugo Chávez, che hanno permesso al Fronte di alleviare le condizioni di estrema povertà di ampli settori della popolazione, in cambio del voto come ovvio. Nel contempo, tenendo il piede in due scarpe, Ortega ha «lasciato fare» al settore privato interno; si è buttato fra le braccia della gerarchia cattolica; ha intrattenuto buoni rapporti con il Fondo monetario garantendo la stabilità macro-economica; ha lusingato Washington rispettando le regole del tanto vituperato Trattato di libero commercio Usa-Centramerica (il Cafta).
Il problema è che stavolta Ortega ha voluto strafare. Nei sondaggi era dato fra il 48 e il 53%. Ma ha voluto a tutti i costi oltrepassare il 60% per garantirsi finalmente i due terzi dei deputati in parlamento e poter così modificare la costituzione a suo piacimento per divenire, lui e la sua famiglia, padroni assoluti del paese. Quella costituzione che non è riuscito a modificare perché in minoranza in parlamento, che gli impediva la rielezione e di cui si è infischiato grazie alla compiacente risoluzione della Corte suprema (da lui imbeccata) che giudicò prevalente sulla Carta magna nicaraguense la Dichiarazione universale dei diritti dell’uomo quando recita che tutti i cittadini hanno il diritto di «eleggere ed essere eletti».
E’ stato favorito anche dal fatto che l’alleanza d’opposizione fosse infarcita dalla presenza nelle liste di numerosi ex contras e nostalgici della dittatura somozista; una accozzaglia di candidati senza un vero programma che ha indotto all’astensionismo la gran parte dei sandinisti cosiddetti «rinnovatori» il cui partito, in forte ascesa, è stato arbitrariamente dichiarato illegale e cancellato dalle liste: Ortega controlla di fatto tutti i poteri dello stato, anche quello giudiziario. E se non bastasse, per il controllo sociale di base, ci sono i Comitati del potere cittadino, le cui t-shirts con su scritto «l’amore è più forte dell’odio», sono in forte contrasto con i loro metodi spicci.
Inventate dalla moglie del presidente, la primera dama Rosario Murillo, il vero potere dietro al trono di Ortega, che, paga del risultato elettorale, ha annunciato giuliva che «da ora in poi passeremo di vittoria in vittoria mano nella mano con Dio».
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