Chiusa ieri la campagna elettorale spagnola
Chiusa ieri la campagna elettorale spagnola MADRID. Consoliamoci ricorrendo al vecchio adagio che non tutto il male vien per nuocere: insieme alla pressoché certa vittoria del Partido Popular, il parlamento spagnolo che nascerà dalle elezioni politiche di domani sarà uno dei maggiormente plurali della storia recente del paese. Il bipartitismo asfissiante Pp-Psoe, denunciato, tra gli altri, dal movimento degli indignados, lascerà il posto ad una rappresentanza più variegata, in modo particolare a sinistra. Di fronte alla prospettiva che la destra guidata da Mariano Rajoy ottenga la maggioranza assoluta dei seggi, non è una grande consolazione; tuttavia, la diversificazione delle voci critiche potrà apportare nuove energie, necessarie per un periodo che si preannuncia molto duro per gli spagnoli.
Nell’elettorato progressista, il richiamo del Partito socialista al «voto utile» contro la destra stavolta non farà breccia, perché pesa di più la delusione nei confronti dell’ultimo anno e mezzo del governo di Zapatero. Dal cambiamento di linea del maggio del 2010, giustificato nel nome dell’emergenza finanziaria, si è rotto un rapporto di fiducia con una parte consistente di quell’elettorato che aveva premiato la proposta politica del Psoe, radicale in materia di diritti civili e (assai) tiepidamente social-democratica sul terreno economico. Le scelte degli ultimi mesi, come il pareggio di bilancio inserito nella nella costituzione sotto dettatura del duo Merkel-Sarkozy, hanno solo aggravato la situazione.
Izquierda Unida (Iu) sa di poterne approfittare, e non ha fatto passare giorno della campagna elettorale, chiusasi ieri sera con gli ultimi comizi, senza rivolgersi ai votanti socialisti delusi. Non solo: una volta tanto, può persino utilizzare a proprio vantaggio l’argomento del voto utile, che nel 2008 aveva contribuito in maniera significativa a condurla al suo minimo storico (3,7%). Non pochi esperti della complicata ingegneria elettorale spagnola hanno dimostrato, infatti, che il sistema di ripartizione dei seggi, condotto su base provinciale e secondo il cosiddetto «metodo D’Hont», fa sì che in molte circoscrizioni sarà proprio Iu e non il Psoe a contendere al Partido Popular l’assegnazione dell’ultimo deputato da attribuire. È quello che potrebbe succedere, ad esempio, a Malaga, in Andalusia, dove Izquierda Unida presenta come capolista (le liste sono bloccate, senza preferenze) il giovane economista Alberto Garzón. Malgrado abbia solo 26 anni, è già molto conosciuto. Brillante oratore, competente, serio senza essere «grigio»: per queste sue caratteristiche è spesso ospite dei dibattiti televisivi, molto meno urlati e rissosi che in Italia. Attivista di Attac e del movimento del 15-M a Siviglia, incarna il tentativo di rinnovamento e apertura alla società civile intrapreso dalla federazione guidata dal comunista Cayo Lara, che, riconosce Garzón, «nel passato ha sofferto di istituzionalizzazione eccessiva».
«L’altro errore commesso da Iu negli anni scorsi è stato non riuscire a far convivere adeguatamente le diverse anime che la compongono. Ma ora è stata recepito l’insegnamento del movimento degli indignados: si sono messe da parte le disquisizioni teoriche, che portavano solo a litigare fra le varie “famiglie ideologiche”, e ci si concentra sugli obiettivi concreti, condivisi da tutti», argomenta Garzón. Come la regolazione dei mercati finanziari, la redistribuzione della ricchezza e la nazionalizzazione di banche e imprese dei settori-chiave. «La questione cruciale dell’attuale crisi è la diseguaglianza, e la crisi della socialdemocrazia – aggiunge – ha fatto sì che una parte della società sia rimasta orfana del suo referente politico storico: ora tocca alle forze della sinistra alternativa conquistarne la fiducia e rappresentarle». E Izquierda Unida non è la sola a candidarsi a farlo, essendoci anche un altro partito di ambito statale ad aspirare a raccogliere il voto di chi si sente tradito dal Partito socialista, ossia la nuova formazione social-ecologista Equo (vedi a fianco). Una concorrenza accettata sportivamente da Garzón: «noi avremmo preferito fare liste insieme, ma loro hanno fatto una scelta di visibilità, che rispetto. Ma dal giorno dopo le elezioni dobbiamo cercare un percorso comune, perché le nostre basi sociali condividono le stesse inquietudini e lo stesso senso di rifiuto verso la situazione attuale».
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