L’accanimento moralistico è quasi peggio di quello terapeutico. Ricapitoliamo i fatti: nel maggio del 2010 due giovani imprenditori di Vicchio, storico paese del Mugello fiorentino, vengono incarcerati su ordine del pubblico ministero di Bolzano per violazione dell’art. 82 della legge sulle droghe che punisce l’istigazione, il proselitismo e l’induzione all’uso illecito di sostanze stupefacenti (con una pena da uno a sei anni di reclusione, aggravata se il fatto è commesso nei confronti di minori o all’interno di scuole, carceri, ospedali).
L’accanimento moralistico è quasi peggio di quello terapeutico. Ricapitoliamo i fatti: nel maggio del 2010 due giovani imprenditori di Vicchio, storico paese del Mugello fiorentino, vengono incarcerati su ordine del pubblico ministero di Bolzano per violazione dell’art. 82 della legge sulle droghe che punisce l’istigazione, il proselitismo e l’induzione all’uso illecito di sostanze stupefacenti (con una pena da uno a sei anni di reclusione, aggravata se il fatto è commesso nei confronti di minori o all’interno di scuole, carceri, ospedali). Questo articolo rappresenta una reviviscenza dei famigerati reati d’opinione ed è un oltraggio al diritto; è uno strumento degno di quella vera e propria caccia alle streghe rappresentata dalla “war on drugs”. In più, i due malcapitati, che sono stati rinchiusi nel carcere di Sollicciano di Firenze per diciotto giorni, si erano limitati a vendere on line semi di canapa, attività che non costituisce reato. La magistratura inquirente ha dunque strumentalmente utilizzato un articolo di legge degno del codice Rocco per perseguire un comportamento lecito, distruggendo immagine, azienda e futuro di cittadini innocenti.
Il proseguo della vicenda giudiziaria è non solo paradossale, ma esemplificativo – si potrebbe dire – della crisi della giustizia. Il processo in primo grado si svolge a Firenze nel giugno 2011 e il Pm dott. Cutrignelli chiede l’assoluzione. Il Gip, dott. Moneti, decide in tal senso perché “il fatto non sussiste”. Tutto bene dunque. No invece! Il Pubblico ministero titolare, dott. Andrea Cusani (peraltro assente al processo) si inalbera e contesta la decisione del Gip ricorrendo per Cassazione e saltando l’appello, contro una decisione a suo parere erronea. Si guarda bene però dal ricordare che l’assoluzione era stata chiesta dal suo sostituto procuratore. A proposito di errori: va ricordato che il famigerato art. 82 succitato si riferisce all’uso e non ai semi utili alla coltivazione. Va detto che il dott. Cusani è recidivo. Infatti, il 1° aprile aveva già presentato un ricorso per Cassazione in un caso identico di vendita di semi di canapa chiuso con la formula di assoluzione “perché il fatto non sussiste”. In entrambi i casi, il giudice aveva deciso sulla base di considerazioni relative ai fatti e di una analisi di diritto circa la portata straordinaria dell’art. 82 che richiederebbe atti, parole, comportamenti univoci, di «istigazione all’uso di droga», espliciti e diretti a individui identificabili, e non al pubblico generico di un sito (per cui si attaglia semmai la previsione dell’art. 84 circa le attività di propaganda pubblicitaria). Che accadrà ora? Si dovrà attendere la decisione della Cassazione e, nel caso di accoglimento del ricorso, rifare il processo in tribunale. Da notare che il dr. Cusani si premura di avvertire la Cassazione di avere presentato due ricorsi, forse temendo il rischio del ridicolo in caso di due pronunce contrastanti del Supremo Collegio. Si rimane davvero desolati di fronte a questo estenuante gioco dell’oca motivato da pulsioni incomprensibili che solo il Procuratore Capo di Firenze, Giuseppe Quattrocchi e il Procuratore Generale Beniamino Deidda potrebbero spiegare.
(Il dossier su www.fuoriluogo.it)
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