A colloquio con il grande pianista che ha appena pubblicato l’album “Rio”, dopo essersi innamorato di nuovo a 66 anni. E racconta i suoi incontri inediti con due indimenticati miti del rock. Miles Davis? Mi ha aiutato a diventare un bandleader migliore. Ma anch’io gli ho dato qualcosa: un approccio più funk alla sua musica
A colloquio con il grande pianista che ha appena pubblicato l’album “Rio”, dopo essersi innamorato di nuovo a 66 anni. E racconta i suoi incontri inediti con due indimenticati miti del rock. Miles Davis? Mi ha aiutato a diventare un bandleader migliore. Ma anch’io gli ho dato qualcosa: un approccio più funk alla sua musica
ROMA. Proprio quando sembrava essersi smarrito in un labirinto di ossessioni, mali e amori perduti, Keith Jarrett ha ritrovato il sorriso. Il pianista geniale si è innamorato di nuovo a 66 anni. Dopo la dura batosta della sua rara malattia, la sindrome da fatica cronica che gli aveva fatto temere di non poter più suonare, dopo l´abbandono traumatico della moglie Rose Anne dopo trent´anni di matrimonio, ha scoperto in Giappone la sua anima gemella. E che Jarrett abbia recuperato in pieno la sua vena creativa lo si sente già nei due dischi del nuovo album Rio, testimonianza dal vivo di un esaltante concerto di solo-piano tenuto lo scorso aprile a Rio de Janeiro. E´ questa la ragione per riannodare i fili con il problematico Keith, chiamandolo nella sua fattoria di campagna a Oxford, New Jersey, dove vive come un eremita dagli anni 70.
Jarrett nella sua lunga carriera non ha mai degnato di attenzione la canzone brasiliana, come invece hanno fatto parecchi jazzisti famosi. Forse non gli interessa? «No, mi piace molto. Se non la suono, è per rispetto, non ho le credenziali. Preferisco fare le mie cose, ma uso certe progressioni e ritmi della musica brasiliana. Se non la suono, non vuol dire che non la sento». E mentre si perde nei dettagli del concerto di Rio, il severo Keith di punto in bianco sbotta: «Ehi, la novità è che mi sono innamorato di Akiko, ci siamo incontrati come due persone qualsiasi, fa la segretaria in un´agenzia che lavora anche con i musicisti». Ed ecco svelata la ragione della copertina gialla e rossa di Rio, sfumature insolitamente vivaci per un´etichetta austera come la Ecm. Oltre la musica, allora, ci sono altre cose per le quali vale la pena vivere? «Posso dire che ho avuto due mogli, due figli e fatto altre esperienze, ma con Akiko sento un feeling diverso, non vive con me tutto il giorno e mi sopporta dal Giappone. Siamo nati lo stesso giorno, anche se in anni diversi. A dicembre, per la prima volta in vita mia, ho fatto la dichiarazione d´amore a una ragazza con tanto di anello. Mi sono fidanzato ufficialmente e forse ci sposeremo presto. Non abbiamo ancora deciso quando. Con Akiko ci sentiamo al telefono almeno due volte al giorno».
Ha voglia di raccontarsi come una persona comune e non recitare per una volta il copione dell´irritante bastian contrario che interrompe i concerti se solo vola una mosca. Come sono stati i suoi inizi: è cresciuto in una famiglia digiuna di musica o di aspiranti musicisti? «In casa avevamo un malandato pianoforte verticale e da bambino rifacevo sulla tastiera i motivi delle canzoni che sentivo alla radio. A cinque anni mi ricordo vagamente di avere partecipato a un talent-show con la band di Paul Whiteman sul palco. A otto ho avuto il primo vero piano e mia madre mi ha affidato a un insegnante che conosceva solo la classica». Come è arrivato al jazz? «A 13-14 anni già facevo recital in cui improvvisavo, ma è stato dopo, ascoltando i dischi di Oscar Peterson e Dave Brubeck».
Con Jarrett non si può non parlare di Miles Davis, l´unico al quale concede di avergli insegnato qualcosa. «A diventare un band-leader migliore, e cioè a dire il meno possibile ai miei musicisti per stimolarli a inventare cose più personali che possano sorprendere anche me. Ma anche io ho aiutato Miles. Voleva un approccio più funk nella sua musica da qualcuno che conoscesse bene il jazz. Chick (Corea) non glielo dava e io gliel´ho dato. La nostra collaborazione è stata breve, ma dopo Miles è stato sempre gentile con me».
E´ talmente di buonumore Jarrett che si riconcilia per una volta anche con il rock. Lo frequentava da giovane, quando con il suo trio reinventava “My back pages” di Bob Dylan o “All I want” di Joni Mitchell. E´ lui stesso a ricordare due episodi lontani: «Una sera Jimi Hendrix venne ad ascoltarmi in un club e mi confessò di essersi stancato del suo batterista (Mitch Mitchell, ndr). Ne voleva un altro più soul, forse io potevo aiutarlo, ma non si fece più sentire». Con Janis Joplin fu un incontro più importante. «Le dissi che mi piaceva la sua voce, ma sceglieva canzoni troppo old fashion. Secondo me ci volevano cose più rock. E lei mi chiese di lavorare insieme. Le promisi che l´avrei fatto, ma Janis morì troppo presto».
E´ nota la disciplina quotidiana che Keith dedica alla musica, esercitandosi al piano per ore, ma ci sarà anche un Jarrett ascoltatore? «Vado a periodi, ultimamente ascolto musica classica, ma dopo Rio non potevo smettere di risentire il mio concerto. Da solo al piano davanti al pubblico che aspetta è orribile cominciare, ma a Rio quella sera ho fatto tante soste e non c´è stato mai un calo di tensione».
Infine Jarrett annuncia per il prossimo anno l´uscita di un nuovo live-album dello Standards Trio con Peacock e DeJohnette. Quanto al suo ritorno alla classica con un disco dedicato alle sonate per violino e pianoforte di Bach, tutto è nelle mani di Manfred Eicher, il lunatico producer della Ecm. «Io l´ho registrato, ma Manfred dice che ci vogliono alcune correzioni».
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