Il segno d’un desiderio e un bisogno di politica

Hai scritto un bel libro, caro Magri, mi piacerebbe parlarne con te. Questo avrei voluto dirgli ma la mancanza di confidenza tra noi mi ha frenato e ora mi dispiace, e penso che la comunicazione mancata segni dolorosamente l’esperienza di «quelli del Manifesto» – o forse dell’intera sinistra un tempo detta alternativa.

Hai scritto un bel libro, caro Magri, mi piacerebbe parlarne con te. Questo avrei voluto dirgli ma la mancanza di confidenza tra noi mi ha frenato e ora mi dispiace, e penso che la comunicazione mancata segni dolorosamente l’esperienza di «quelli del Manifesto» – o forse dell’intera sinistra un tempo detta alternativa. Come se in quell’ambito, in quella storia, ciascuno la memoria dovesse farsela tra sé e sé. Oggi, di fronte a questa sua morte così dura, ancor di più mi sembra pesante questo lavoro della memoria non condiviso, e il sospettare che, tra compagne e compagni di un’avventura finita tanto tempo fa, non ci si intenda nemmeno sull’idea stessa di memoria. Siamo stati maestri di solitudine per caso?
Siamo state due generazioni giovani a contatto, quelli come me e loro: Rossanda Parlato Magri Pintor Castellina, giovani. Per noi quei giovani (dopo tutto erano attorno ai quarant’anni) hanno rappresentato la seconda possibilità – dopo il Sessantotto- di avere una vita politica piena: perché a questa mi pare che aspirassimo in molte, e in molti.
Ricordare che quella era l’aspirazione significa avvicinarsi al ripagare un debito di gratitudine. Magri era la costruzione più razionale delle analisi, Rossanda l’indicazione di tutte le vie di fuga dalla medesima, (anche se mai l’ho sentita pronunciare l’abusata parola complessità), Castellina la passione, il piacere e l’indicazione del che fare, Pintor la perenne segnalazione del buio della storia e della flebile luce del sogno rivoluzionario, Parlato una convivialità socratica condita di ironia e di un naturale ammonimento circa il limite di ciascuno di noi. Il gruppo dirigente del manifesto per me era questo, anche se comprendeva altri pregevoli personaggi. Tutti insieme hanno creato, per loro stessi ma anche per noi, uno spazio politico molto ricco, indimenticabile.
Noi – o alcuni e alcune tra noi – nel frattempo badavamo molto a rendere le nostre vite e noi stessi coerenti con il ragionamento, la passione, la difficoltà, la convivialità, insomma, gli insegnamenti ricevuti.
Noi volevamo imparare: imparare a capire, a fare, a essere. Magri sapeva insegnare a capire, indicando che la comprensione del mondo era accessibile, bastava impegnarvisi. La forza, la tenacia della ragione! Un bel giorno ci ricordò – doveva essere un’occasione importante – che il proletariato era erede della filosofia classica tedesca, concetto che può essere fertilissimo se interpretato all’infinito e diventa sterile se ripetuto per amor di retorica. Il gruppo del Manifesto era una buona cura contro la retorica rivoluzionaria, e forse era questo a renderlo inviso agli altri gruppi della sinistra. Era anche ostilissimo alla didattica politica, che era cosa diversa dalla passione culturale. Fatto sta che una sera sul tardi ricevetti una telefonata di un compagno – un operaio venuto a Milano dalla Puglia. Finita la giornata lavorativa, mi chiedeva di spiegargli, di un articolo di Rossanda sul neonato quotidiano, alcuni passi, per così dire, eredi della filosofia tutta. La giornata politica finiva molto tardi ed era piena e non si era mai soli: ci si aiutava a capire, a fare e ad essere, appunto. In modi inediti: lo scambio più significativo che ricordo, tra me e Magri, risale a un seminario (scuola quadri, di fatto) a Rimini, sulle tesi per il comunismo: aveva ascoltato e commentato una mia lettura del testo in discussione, non si può immaginare la mia gioia, avevo sui venticinque anni.
Ha vinto qualcosa d’altro, certo non noi, non la vita politica piena, non la maturità del comunismo, come dicevamo. Il tempo per capire il perché e riprendere una debitamente diversa vita politica piena non è eterno, forse per quelle e quelli come me è già passato. Ma è anche colpa di Lucio, di Rossana, di Luciana, di Luigi, di Valentino se addosso noi portiamo il segno di un desiderio e di un bisogno di politica, e anche di politica come vita che a tratti ci fa morire e a tratti ci fa vivere di più, come capita a volte nel lutto. E se un sorriso interiore ci risolleva quando succede che altri ancora, più giovani, ascoltandoci si sentano sostenuti, incoraggiati a pensare e vivere il mondo come solo la politica sa – o sapeva – fare.
Vorrei continuare a ricordare alla luce di quel segreto sorriso, nonostante tutto e anche per amore di chi se n’è andato.

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