Il fantasma di Sacconi si chiama dissenso

Il teorema Sacconi è lineare e infatti insiste. Ma certamente non è nuovo: ci sono forze politiche e sociali che, accusando il governo delle difficoltà  del paese, gettano paglia sul fuoco della protesta, come dimostrerebbero gli scontri del 15 ottobre a Roma. La protesta, si sa, è come una bomba e una volta innescata è difficile da spegnere.

Il teorema Sacconi è lineare e infatti insiste. Ma certamente non è nuovo: ci sono forze politiche e sociali che, accusando il governo delle difficoltà  del paese, gettano paglia sul fuoco della protesta, come dimostrerebbero gli scontri del 15 ottobre a Roma. La protesta, si sa, è come una bomba e una volta innescata è difficile da spegnere. Può assumere le forme civili del dissenso, ma anche quelle incontrollabili della violenza dentro cui ineluttabilmente si insinua e si nasconde il cancro del terrorismo. Non è questo che ci insegnano decenni di storia italiana? Morale: bandire la critica, vietare i cortei e, soprattutto, rigettare sui cattivi maestri – opposizioni politiche e sociali – le responsabilità di quel che potrebbe succedere. E che potrebbe succedere? Potrebbe scapparci il morto. Questo lo dice lui, la realtà è che il ministro teme che la protesta sociale possa riuscire là dove un’opposizione politica afona non riesce: mandare a casa lui e il suo capo Berlusconi.
Questa volta però il ministro Sacconi ha superato ogni limite, facendo perdere la pazienza persino a chi del suo teorema infame si è nutrito per decenni. C’è chi tenta di giustificarlo ricorrendo a strumenti psicologici: poverino, era così amico di Marco Biagi (e magari così pieno di sensi di colpa per la revoca della sua protezione) ammazzato dai terroristi che bisogna capirlo. Si potrebbe controbattere che nascondere le sue politiche liberticide e antioperaie, nonché il suo irresponsabile allarmismo, dietro il corpo di Biagi è un’operazione sporca.
Dire che il «socialista» Sacconi se le cerca sarebbe altrettanto irresponsabile, quasi un appello a metterlo a tacere. Invece non dovremmo metterlo a tacere, ma rimandarlo a casa a riflettere sui suoi incubi: i comunisti – sì, anche lui se li sogna la notte – il ’68, la Cgil. Per non parlare della Fiom. Sacconi è assetato di vendetta, ha in testa solo il ritorno ai bei tempi, quando di fronte al padrone ci si toglieva il cappello, vuole tirare una riga sopra le conquiste – lui dice le aberrazioni – degli anni Settanta quando il ministro livido cominciò a elaborare il suo teorema. Ma è difficile mandare a casa Sacconi e il suo governo quando persino le bestemmie – per aumentare l’occupazione bisogna rendere più facili i licenziamenti – raccolgono applausi in tutto l’arco costituzionale. Quando giuslavoristi dinosauri denunciano l’eccesso dei diritti dei presunti garantiti, quando i giovani rottamatori scoprono le meraviglie del teorema Marchionne. Se anche mandassimo a casa Sacconi, e speriamo davvero di riuscirci prima che avveleni definitivamente il clima politico e sociale, ci resterebbero i fans di Marchionne e Ichino, e quelli che pensano che se i giovani oggi non hanno lavoro e domani non avranno la pensione, la colpa sta nel fatto che non si lavora fino a settant’anni e che c’è l’articolo 18.
Solo ricostruendo una razionalità di sinistra con gli anticorpi per non cadere nel trabocchetto del modernismo e del pensiero unico, potremmo essere certi di non trovarci a sostituire un Sacconi con un altro Sacconi, anche se è oggettivamente difficile pescarne uno come lui, persino cercando con impegno nel nutrito battaglione del pentitismo socialista italiano. Ma in tutto questo il terrorismo non c’entra nulla: non basta evocare i fantasmi per dar loro la vita.

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