Ingiustificate le ordinanze emesse per fermare i manifestanti
Ingiustificate le ordinanze emesse per fermare i manifestanti
TORINO. La Val di Susa è la cartina di tornasole dello scivolamento democratico in atto, di un’alterazione della forma di governo parlamentare. Come nel ricorso continuo a decreti leggi a Roma, così nelle ricorrenti ordinanze prefettizie – per sgomberi e zone off-limits – in Valle, qualcosa non torna. Entrambi dovrebbero essere adottati solo in casi straordinari di necessità ed urgenza. Non è così. Perché, allora, stabilizzare l’emergenza? Se lo sono chieste due studiose di diritto, Daniela Bauduin (avvocato, recente autrice con Giancarlo Ferrero di L’economia sommersa e lo scandalo dell’evasione fiscale, Ediesse) ed Elena Falletti (ricercatrice di diritto privato comparato), che hanno analizzato le ordinanze emesse dalla prefettura di Torino da giugno a ottobre.
Partiamo dalla prima, che ordinò lo sgombero della Libera Repubblica della Maddalena (il presidio No Tav a Chiomonte), emessa il 22 giugno e notificata il 27. Il provvedimento si richiamava all’articolo 2 del testo unico delle leggi di pubblica sicurezza, secondo il quale il prefetto nel caso di urgenza o grave necessità pubblica, ha facoltà di adottare provvedimenti indispensabili per la tutela dell’ordine pubblico. Articolo, ricordano Bauduin e Falletti, dichiarato parzialmente illegittimo – nei limiti in cui attribuisce ai prefetti il potere di emettere ordinanze senza il rispetto dei principi giuridici – dalla Corte costituzionale nel 1961, che invitò il legislatore a intervenire. Ma il testo è rimasto inalterato e «molti prefetti hanno emesso provvedimenti spesso oggetto di censure di legittimità». In realtà, le ordinanze prefettizie non dovrebbero mai essere in contrasto con la Costituzione. Gli strumenti ordinari, davvero, non bastano? Il pretesto dell’urgenza non regge di fronte a una protesta che dura da 22 anni.
Sono poi arrivate le ordinanze del 29 luglio e del 30 settembre, quasi identiche, reiterate e prorogate che hanno, tra l’altro, vietato l’ingresso e lo stanziamento nell’area di persone cose e mezzi estranei alle attività di cantiere. Nemmeno un mese dopo, ecco quella prima della manifestazione del 23 ottobre, con la «zona rossa» istituita dal prefetto, che ha esteso l’area interdetta all’accesso dei manifestanti di alcuni chilometri. È seguita un’ordinanza della Questura, paventando una linea di «tolleranza zero». Provvedimenti «esorbitanti» e «in odore di incostituzionalità». «Questi strumenti – spiegano le studiose – rafforzano il ruolo del governo per far fronte a un’emergenza, che però viene qualificata come tale dallo stesso soggetto che esercita il potere straordinario. Ne consegue l’ampia discrezionalità del prefetto. Le ordinanze dovrebbero essere giustificate da un contesto di eccezionalità e provvisorietà, senza nascondere problemi strutturali e persistenti. Diversamente, si altera la forma di governo democratico-parlamentare». Il legittimo diritto alla sicurezza «non può prevaricare sul diritto di manifestare liberamente il proprio dissenso».
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