DAGLI ANNI ’70 ALL’EUROPA QUELLE BATTAGLIE RADICALI

 In un libro-intervista Emma Bonino ripercorre le lotte di una vita, che hanno segnato la sua storia e quella di tante donne nel Paese e nel mondo. Il dialogo con la giornalista Giovanna Casadio comincia con il tema delle carceri. Accanto alle idee i luoghi del suo impegno: da Kabul a Srebrenica, da Bruxelles al Cairo 

 In un libro-intervista Emma Bonino ripercorre le lotte di una vita, che hanno segnato la sua storia e quella di tante donne nel Paese e nel mondo. Il dialogo con la giornalista Giovanna Casadio comincia con il tema delle carceri. Accanto alle idee i luoghi del suo impegno: da Kabul a Srebrenica, da Bruxelles al Cairo 

Alzi la mano chi, interrogandosi sulla composizione imminente del governo Monti, non ha immaginato che ci entrasse Emma Bonino. Non ci è entrata. Niente di strano: non ci è entrato quasi nessuno. È un fatto però che Emma stia passando, rispetto alle cariche e soprattutto agli incarichi politici e istituzionali cui è di volta in volta candidata in petto, per un´emula del Borges col Nobel. Io stesso, anni fa ormai, la vidi così, come una candidata commissaria ad hoc per antonomasia, dove l´hoc poteva riguardare una gamma inesauribile di competenze: candidata, piuttosto che officiata, perché aveva finito per fare troppa ombra a concorrenti nazionali e mondiali. Però, all´indomani di questa apparente nomina mancata (nemmeno ventilata, del resto) ci ho ripensato.
Il connotato distintivo di Emma non è affatto di essere un´eterna candidata, benché lei stessa magari, a volte, sia tentata di immaginarsi così. Per esempio nel 2001, dopo una campagna elettorale che le era costata un digiuno prostrante, condotta a Milano accanto a Luca Coscioni, con la temeraria scelta di mettere al centro la malattia e la ricerca, «dal corpo dei malati al cuore della politica». Appena due anni prima, nel maggio del 1999, aveva preso l´8,5 per cento dei voti nelle elezioni europee, e questa volta non raggiunse il quorum, e restarono fuori, Luca e lei e quell´idea del rapporto fra la vita delle persone e la politica. Dalla quale si sentì respinta, rigettata, e ne pianse molto, e se ne andò, ad abitare al Cairo, a incontrare donne che andavano in galera per amore e apostasia, a imparare l´arabo e a rimettere insieme i cocci. Quando fu più a occhio asciutto, pronunciò quella nuova frase all´indirizzo dei tantissimi cittadini italiani che le manifestano un caldo affetto: «Amatemi di meno, e votatemi di più». Non era ambizione frustrata, era la sensazione che fosse misconosciuto, con lei, ciò che è più prezioso per tutti, perché Emma ha una dedizione agli ideali, e una gran voglia di realizzarli insieme agli altri. «Io credo nella nobiltà della politica, e non sono una demagoga».
Ora la sua conversazione con Giovanna Casadio, la giornalista di Repubblica che ne ha tratto un libro per Laterza, I doveri della libertà, è un compendio delle idee cui si è ispirata e delle cose che ha fatto. Non è sistematico, perché Emma non è sistematica, e ricapitola il radicalismo cui lei è fedele (fedeltà che coincide con quella, leggendaria e battagliera, a Marco Pannella), sulla scorta delle vicende di cui è stata attrice. Alla fine della lettura, anche chi, come me, pensa di “sapere tutto” di lei (noi pensiamo di sapere tutto di tutti, tranne che di noi stessi, ci risparmiamo), tira il fiato e cambia versione: non una sequela di candidature, ma una moltitudine di esperienze emozionanti e di realizzazioni.
Ora Emma è soltanto vicepresidente del Senato italiano, una bazzecola: non è che l´inizio, e ha alle spalle un atlante di luoghi e avvenimenti, da testimone o da protagonista, impressionante per una donna della generazione nata dopo la guerra. Dopo “la nostra” guerra, perché gli altri non hanno smesso per un momento di esserne travolti, e sul suo atlante una bandierina segna lo sterminio di Srebrenica, di cui fu fra i più vicini testimoni, e sperimentò l´orrore e la disperazione di non essere creduta; un´altra l´Afghanistan in cui è andata tante volte, da ispettrice del voto e prima, nel 1997, da commissaria agli Aiuti umanitari, quando fu arrestata dai talebani e promosse la campagna “Un fiore per le donne di Kabul”.
Titolo degno di riflessione, e che riassume il senso ultimo dell´ispirazione di Emma. Il pensiero è ricorrente, la questione della primavera cui richiamava Majakovskij, il pane e le rose: per Emma è esattamente il rifiuto del luogo comune secondo cui la libertà e i diritti sono superflui per chi si misuri con la sopravvivenza, o comunque “vengano dopo”. Valeva già, prima che lei arrivasse alla militanza – ci arrivò con l´aborto, e a cominciare da un suo aborto, e presto sperimentò la galera – per un obiettivo “borghese” come il divorzio: così appariva ai classisti come noi, che lo propugnammo più per un calcolo politico che per un´intelligenza dell´infelicità. Ho scritto “i diritti”, e devo subito integrare, perché Emma si definisce “una doverista”, mazzinianamente persuasa che il dovere sia davvero l´altra inscindibile faccia di ogni diritto. Casadio le ricorda la volta in cui, arrivata in anticipo a Napoli per un dibattito, nel 1981, guardò in terra e chiese: «C´è una scopa?» – aneddoto profetico, del resto.
Emma gira per il mondo, chiede se c´è una scopa, e giudica la democraticità di un paese dalla condizione delle donne. Il suo impegno di anni contro le mutilazioni femminili aspetta di essere coronato da una sanzione dell´Onu: ma la vittoria vera, dice, sta nel fatto che alla testa di quella mobilitazione si sono messe donne africane. Anche qui, le rose: «All´inizio il coro unanime era: “il problema dell´Africa è la povertà, questo è un tema elitario”».
Esce, il libro, in un momento che rende urgenti molti suoi capitoli. E un piccolissimo inciso, a proposito della dissipazione delle donne nel mondo, e in Italia in particolare. «Nessuna donna è a capo di una banca». Mi chiedo se, oltre che uno scandalo, non sia un buon segno. Emma è europeista, fedele alla profezia del Manifesto di Ventotene, e sa che adesso si corrono i due rischi opposti: una confisca della sognata federazione europea, della patria Europa, da parte di banche o summit francotedeschi o lettere supplenti, o da una rivalsa nazionalsovranista, l´Europa delle patrie per giunta inasprite. «Per non parlare dei 27 eserciti nazionali» – e sarebbe ora che ne parlassimo davvero. Il libro insegna molto sul bilancio da trarre dell´Unione e sull´imprevista attualità della questione. Se non si fa per scelta, bisogna farlo per necessità. E rivedere l´abitudine italiana a fare del Parlamento europeo un cimitero degli elefanti, o comunque una sontuosa collocazione periferica. O, ancora peggio, un fastidioso inciampo a una politica internazionale orientata su Putin e Lukashenko e Gheddafi e Nazarbayev.
Chi oggi, reduce dal più spensierato “euroscetticismo”, variamente spinto dall´assedio finanziario, invoca gli eurobond o una Banca europea che batta moneta, non si accorge di mettere ancora una volta il sale sulla coda del problema, che non può che riportare invece alla costituzione e a un governo europeo eletto a suffragio universale. La Banca seguirà. Emma è convinta che la crisi sia “nel” mercato e non “del” mercato: un atto di fiducia difficile da condividere. Il libro dedica molto spazio alla vessata questione del liberismo, dell´ostilità radicale all´art.18 eccetera. La ritengo molto mutata, a cominciare dalla contrapposizione fra garantiti e no, che tarda a prendere atto della progressiva estinzione dei garantiti stessi.
Ho lasciato in fondo la questione della giustizia e delle carceri. Invece è la questione da cui il libro comincia. La più importante.

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