Celle aperte durante il giorno per i detenuti

Celle usate solo per il pernottamento, ogni detenuto avrà  il suo codice. E «carceri aperte» per i soggetti meno pericolosi. È quanto dispone la nuova circolare diramata dall’amministrazione penitenziaria ai provveditori e direttori. Si tratta di una piccola rivoluzione, un tentativo di rendere meno dura la vita nelle prigioni sovraffollate come mai lo erano state prima d’ora.

Celle usate solo per il pernottamento, ogni detenuto avrà  il suo codice. E «carceri aperte» per i soggetti meno pericolosi. È quanto dispone la nuova circolare diramata dall’amministrazione penitenziaria ai provveditori e direttori. Si tratta di una piccola rivoluzione, un tentativo di rendere meno dura la vita nelle prigioni sovraffollate come mai lo erano state prima d’ora. ROMA — Un tempo si chiamavano celle, e tutti continuiamo a usare quel termine. Ma la dizione ufficiale è «camere di pernottamento» e così dovranno essere di fatto, non solo di nome.

I detenuti italiani assegnati al regime di «media sicurezza» — la grande maggioranza, più di 50.000 rispetto al totale di 67.500 — dovranno tornare nelle «camere» solo di notte. Durante il giorno potranno muoversi liberamente all’interno della prigione: «Il perimetro della detenzione dovrà estendersi quanto meno ai confini della sezione ovvero, dove possibile, anche agli spazi esterni alla stessa, seguendo così l’indicazione dell’ordinamento penitenziario sin qui scarsamente attuata».
È quanto dispone la nuova circolare intitolata «Modalità di esecuzione della pena — Un nuovo modello di trattamento che comprenda sicurezza, accoglienza e rieducazione», diramata ieri dal Dipartimento dell’amministrazione penitenziaria a tutti i provveditori e direttori delle carceri. L’ha firmata il responsabile del Dap, Franco Ionta, insieme a Sebastiano Ardita, il direttore dell’Ufficio detenuti che l’ha materialmente redatta come ultimo atto della sua decennale permanenza al Dipartimento, prima di tornare a fare il pubblico ministero in Sicilia. Si tratta di una piccola rivoluzione, un tentativo di rendere meno dura la vita nelle prigioni sovraffollate come mai lo erano state prima d’ora, e di attuare il principio costituzionale della pena tesa al reinserimento sociale dei condannati. Anche attraverso la loro collaborazione.
Il presupposto del nuovo corso è che «per larga parte della popolazione detenuta è possibile e saggio applicare un regime penitenziario più aperto». E forse anche alla luce di episodi più o meno gravi di persone che dietro le sbarre hanno subito abusi o soprusi, nella circolare si ricorda che nei confronti del detenuto «devono essere attuati interventi trattamentali conformi ad umanità e rispettosi della dignità della persona». Quanto ai reclusi, con le norme appena varate viene «elevato il grado di responsabilizzazione di ciascuno, potendo ogni ristretto contribuire, con la propria condotta, alla adozione per tutti del regime meno afflittivo»; cioè quello di una «vita penitenziaria connotata da libertà di movimento, secondo precise regole di comportamento».
Entro tre mesi negli istituti dovranno essere pronte le sezioni aperte dove i reclusi ammessi potranno muoversi a piacimento per l’intera giornata, al di là della tradizionale ora d’aria.
E per stabilire chi potrà accedere a questo regime si procederà al censimento e a un’inedita catalogazione della popolazione detenuta. Tenendo conto della «ragione dell’ingresso in carcere», quindi dei reati di cui si è accusati, ma anche della «condotta intramuraria» (cioè all’interno dell’istituto), della «risposta al trattamento penitenziario», delle «reazioni mantenute nei momenti difficili» e del «rispetto non meramente formale né strumentale delle disposizioni interne», nonché del «modo di relazionarsi con altri ristretti».
Ne verrà fuori una classificazione legata alla pericolosità che ricalca quella adottata nei Pronto soccorso degli ospedali: codice bianco, verde, giallo e rosso, per misurare la pericolosità del detenuto, e dunque «il concreto rischio che il ristretto, condannato o imputato, si renda autore di evasione o di episodi di turbamento dell’ordine e della sicurezza interna all’istituto».
Col codice bianco saranno classificati i reclusi per «reati che non hanno comportato violenza o minaccia alle persone», oppure che risultino potenzialmente preliminari ad atti di violenza, come il possesso di armi; che non appartengano ad associazioni per delinquere o «comunque gravitanti in contesti di criminalità mafiosa» e che abbiano fin qui tenuto una «buona condotta intramuraria, partecipando al trattamento in modo attivo». Questi andranno direttamente ammessi al «regime aperto», senza altri accertamenti e vincoli.
Per i detenuti col codice verde — stessi requisiti del bianco a parte il primo, e cioè siano accusati di reati «connotati da violenza o minaccia alle persone» — andrà fatta un’attenta valutazione per escludere pericoli di fuga o di «turbamento dell’ordine e della sicurezza» prima di essere ammessi alla libertà di movimento, che in ogni caso andrà «tendenzialmente» concessa.
Il codice giallo verrà attribuito ai detenuti per reati di violenza che «pur non avendo tenuto comportamenti intramurari violenti né condotte pericolose, abbiano mantenuto atteggiamenti di tipo dissociale ovvero siano incorsi in violazioni disciplinari». Per loro la regola s’inverte, e la possibilità trascorrere le giornate fuori dalle «camere di pernottamento» sarà riconosciuta solo dopo «una prima ragionata scelta che tenga conto di altri fattori in grado di escludere il pericolo di evasione o turbamento».
Infine ci sarà il codice rosso, assegnato ai reclusi responsabili di atti di violenza o tentativi di evasione, che abbiano partecipato ad associazioni per delinquere finalizzate a reati violenti o collegate, sia pure indirettamente, alla criminalità organizzata. Ad essi il regime aperto sarò di norma negato, «salvo il manifestarsi di specifiche evidenze di senso contrario tanto rilevanti da far escludere in modo ragionevole la possibilità di pericoli»; in ogni caso ciò potrà avvenire dopo un «adeguato lasso di tempo» nel quale l’équipe di osservatori e responsabili dovrà decidere all’unanimità l’ammissione al «regime aperto».
L’assegnazione del codice non sarà definitiva bensì legata a «riunioni periodiche dell’équipe che potranno rivedere in senso positivo o negativo le valutazioni sul livello di pericolosità del detenuto e procedere ad una loro modifica». Inoltre, «l’ammissione alla detenzione aperta non costituisce un diritto acquisito», ma potrà essere revocata «ove il detenuto tenga condotte che ne dimostrino la pericolosità e quindi l’inidoneità ad un regime meno custodiale di quello “chiuso”».
Da oggi i direttori del penitenziari hanno sessanta giorni di tempo per attribuire i codici — che andranno indicati nei fascicoli personali e in tutti i documenti delle persone finite in carcere, subito dopo il nome e il cognome — stilare gli elenchi di coloro che possono essere ammessi alla detenzione aperta e indicare gli spazi da assegnare a chi potrà circolare durante il giorno all’interno delle sezioni «aperte».

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