Anno 1933, in Germania il nazismo ormai è al poter.e Due grandi intellettuali, entrambi austriaci, ebrei ed esuli, da Parigi, Bruxelles, Londra, tengono un carteggio rimasto finora inedito. Un documento straordinario sui giorni più bui del Novecento
Anno 1933, in Germania il nazismo ormai è al poter.e Due grandi intellettuali, entrambi austriaci, ebrei ed esuli, da Parigi, Bruxelles, Londra, tengono un carteggio rimasto finora inedito. Un documento straordinario sui giorni più bui del Novecento
«La Germania è morta, per noi è morta. È stata solo un sogno, apra gli occhi, la prego!». Così scrisse Joseph Roth a Stefan Zweig nel 1933, l´anno della presa del potere di Hitler. È un momento chiave del carteggio tra i due grandi scrittori austriaci esuli che la casa editrice Wallstein di Gottinga (www.wallstein-verlag.de) ha appena pubblicato (Jede Freundschaft mit mir ist verderblich-Joseph Roth und Stefan Zweig, Briefwechsel 1927-1938). Documento straordinario di cui pubblichiamo questi estratti. Confessioni, litigate e riconciliazioni tra i due offrono testimonianza e memoria uniche del dramma dell´intellighenzia mitteleuropea ed ebraica davanti all´ascesa del nazismo e degli altri totalitarismi. Due caratteri quasi opposti s´incontrano e si confortano nel destino comune dell´esilio: Zweig già scrittore di rango, benestante, con una tranquilla situazione familiare, Roth feuilletonista instabile e alcolizzato invitato invano dall´amico a smettere di bere. Ma dei due è Roth spesso il più lucido, quello che capisce per primo e avverte l´altro della catastrofe in corso e del suo inevitabile epilogo tragico. Un´amicizia che si rompe anche per dissensi tra Roth più pessimista e Zweig possibilista, sullo sfondo della Seconda guerra mondiale imminente, e la storia di due vite distrutte di esuli. «Non diverremo vecchi, noi esuli», scrive Zweig quando Roth muore a Parigi. Nel 1942, Zweig stesso si toglie la vita a Petropolis in Brasile. (Andrea Tarquini)
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Caro Joseph, non odierò nessuno Lo storico è convinto che la guerra arriverà ma che ci sia ancora speranza. Più lucido l´autore di “Fuga senza fine”: “Contro Goebbels e i milioni che lo seguono, contro queste iene sperare non ha alcun senso”
26 marzo 1933
(Hotel Foyot, Parigi)
aro amico, la prego di fare attenzione che le Sue lettere indirizzate a me viaggino attraverso la Svizzera. Alcune passano dalla Germania. Sono d´accordo con Lei. Bisogna aspettare. Non sappiamo quanto a lungo. L´ottusità del mondo è maggiore che nel 1914. Gli uomini non si commuovono più quando uomini feriscono e uccidono. Nel 1914 almeno da ogni parte ci si sforzò di spiegare la bestialità con motivi e paraventi umani. Ma oggi la bestialità si adorna di spiegazioni più bestiali della bestialità stessa. […] Le sia chiaro: nella misura in cui una belva malata come Goering si differenzia da Guglielmo II che rimase sempre nell´ambito dell´umano, ecco, in questa misura il 1933 è diverso dal 1914».
J.R.
6 aprile 1933
(Hotel Foyot, Parigi)
«Caro amico, cerchi di capire finalmente che Lei è capro espiatorio per tutti i peccati degli ebrei, non solo per quelli di chi portò nomi simili al suo. Se Goebbels la confonde o no con un altro, per lui è indifferente. Lei per lui non è migliore né diverso […].
Si faccia una ragione della realtà che i quaranta milioni che obbediscono a Goebbels sono ben lontani da fare alcuna differenza tra Lei, Thomas Mann, Arnold Zweig, Tucholsky o me. Tutto il nostro modo di vivere è stato vano. Lei non è confuso con altri perché si chiama Zweig, bensì perché è ebreo, bolscevico della cultura, pacifista, letterato della civiltà, liberale. Ogni speranza è insensata.
[…] Io sono un anziano ufficiale austriaco. Amo l´Austria. Ritengo vile non dire oggi che è venuto il tempo di provare nostalgia per gli Asburgo. Voglio riavere la monarchia, e voglio dirlo».
J.R.
30 ottobre 1933
(11, Portland Place, Londra)
«Caro amico, stiamo splendidamente bene, ho preso un bell´appartamento in affitto, lavoro al mattino e fino alle 15 in biblioteca, poi a casa. La gente qui è piena di riguardo e attenzioni, simpatica, il clima dei rapporti umani è incoraggiante anche per il lavoro. Lei, caro amico, si sentirebbe sicuramente molto meglio, molto più a suo agio qui che non a Parigi, o nella Sua solitudine. Io già da quattro settimane ho smesso di fumare, ciò mi giova molto, e d´altra parte colgo già molti sospiri di sollievo dal fatto di non ricevere notizie da casa. Suo nel cuore».
S.Z.
3 novembre 1933
(11, Portland Place, Londra)
«Caro amico, dopo giorni splendidi ne affronto di difficili. S´immagini, ho appreso di attacchi contro di me a Vienna e poi ho saputo, tre settimane dopo, che l´editore Insel ha pubblicato – senza chiedermi l´autorizzazione e senza nemmeno comunicarmi la decisione in anticipo – una lettera che io Le avevo scritto di Suo auspicio per evitarle problemi nella questione con Klaus M! [Klaus Mann, ndr]. Ho preso la decisione che da tempo mi pesava sul cuore, ho inviato una richiesta di pubblicazione della mia posizione al giornale A. Z. che deve uscire domani e La prego, se la vedrà, di chiarire tutto con tutti e inviarmi anche ritagli di attacchi alla mia persona, in modo che io possa reagire subito ed energicamente».
S.Z.
7 novembre 1933
(Rapperswill)
«Caro amico, da tutti coloro, senza eccezione, i quali hanno funzioni pubbliche per la Germania, con la Germania, in Germania, mi divide quel che distingue l´uomo dalla bestia. Contro iene puzzolenti, contro l´inferno, persino il mio vecchio avversario Tucholsky è mio compagno d´armi. Sento già l´obiezione: noi siamo ebrei. Sebbene io fui ferito al fronte [nella Prima guerra mondiale, ndr] dico no! Solo belve potrebbero accusarmi per aver allora versato il mio sangue. Resto nelle trincee come allora, combatto contro le belve per il genere umano».
J.R.
Tra l´8 e il 13 novembre 1933
(Londra)
«Caro amico non creda, La prego, che io sia un asino o un debole, a lasciarmi tollerare e insieme boicottare in Germania: per me conta mantenere la proprietà intellettuale del mio lavoro. Uno strappo come Lei sogna non servirebbe, non è possibile cancellare dal mondo i settanta milioni di tedeschi con la protesta, e temo che gli ebrei anche all´estero debbano prepararsi a qualche delusione, è facile concludere un patto alle loro spalle, dalla diplomazia mi aspetto ogni porcheria. Sono molto scosso da quanto su di me è stato scritto e fatto da “amici”, negli ultimi giornali tedeschi sono usciti fulminanti articoli d´odio contro di me. Bisogna imparare a vivere soli e nell´odio, eppure non ricambierò odiando».
S.Z.
27 marzo 1934
(Londra)
«Caro amico, posso dirle che a causa di notizie da Parigi, a Vienna indagano sul mio conto, i giornali non possono pubblicare nulla di me. A Londra i giornali ti lasciano in pace, ma Lei stesso che vive a Parigi sa bene come io a Parigi devo ormai nascondermi. La prego non parli di queste righe con nessuno, altrimenti finirà in mano ai giornali francesi e dell´emigrazione».
S.Z.
13 aprile 1934
(Hotel Foyot, Parigi)
«Caro amico, è orribile che Lei non venga da me. Attraverso la crisi privata più grave. È la peggiore ora della mia vita, mi creda, e non è l´alcol».
J.R.
Maggio-giugno 1934
(Londra)
«Il mio pessimismo politico è smisurato. Credo alla prossima guerra come altri credono in Dio. Mi aggrappo a ogni ultimo brandello di libertà di cui possiamo ancora godere, pronuncio ogni mattino una preghiera di ringraziamento, perché sono libero, perché sono nel Regno Unito. Pensi alla mia gioia, in questo tempo di pazzi mi sento ancora abbastanza forte da impartire lezioni morali ad altri».
S.Z.
Maggio 1937
(Hotel Stein, Salisburgo)
«Caro amico, è inaudito come lei mi tratta. Lei ha il dovere di riconoscermi come amico, anche se non le scrivo da dieci, venti o mille anni».
J.R.
17 ottobre 1937
(Londra)
«Caro non amico, voglio solo dirle che finalmente grazie a Bertold Fles che ho visto ieri ho appreso qualcosa del suo lavoro. Non so come dirle come sarebbe secondo me importante per lei cambiare luogo e clima. Un saluto, e non dimentichi il suo infelice amante e amico respinto».
S.Z.
31 dicembre 1937
(Hotel Dinard, Parigi)
«Caro amico, la vecchia amicizia è ancora in piedi. Ma sto troppo male, non riesco a scrivere. Saluti di cuore, il suo fedele»
J.R.
Dicembre 1938
(49, Hallam Street, Londra)
«Caro Joseph Roth, Le ho scritto tre o quattro volte senza ricevere risposta, e credo in nome della nostra amicizia d´avere diritto di chiederle cosa vuol dirmi col suo silenzio… Forse sarò presto a Parigi, mi faccia sapere se preferisce che io la cerchi o che io la eviti, visto che Lei mi evita tanto… Il Suo silenzio è troppo evidente, lungo e impressionante perché io possa spiegarmelo pensando a un suo eccesso di lavoro. I migliori auguri dal cuore, e possa (malgrado tutto!) il prossimo anno essere non peggiore di quello che sta terminando. Suo»
S.Z.
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