La battaglia anti espropri, un magistrato tra i contestatori
La battaglia anti espropri, un magistrato tra i contestatori
AVIGLIANA (Torino) — Appena un passo indietro e ci sono tutti, anche quelli che non si vedono e non ci saranno.
Nella piccola sala della scuola elementare di Avigliana un gruppo di militanti No Tav si offre alle telecamere di una trasmissione Rai. Seduti in fondo, con un occhio a quel che avviene in trasmissione, sfilano sindaci amministratori locali del Pd. Tutta gente che domani non parteciperà al corteo, in ossequio alla minaccia di espulsione giunta dal segretario regionale del loro partito. Accanto a loro, chiacchierando sul ballatoio, ci sono invece i personaggi importanti della protesta, quelli che contano nell’organizzazione della piazza.
Succede ogni volta. Alla vigilia degli appuntamenti importanti, come questa domenica con annesso tentativo di giungere alle reti del cantiere di Chiomonte, la verifica della coesione del movimento No Tav diventa quasi un esercizio di giornalismo, che si risolve sempre nell’ennesima conferma. In bassa Val di Susa c’è un blocco politico-sociale-movimentista magari minoritario, ma che si dimostra di granitica compattezza. Ognuno con il suo ruolo, la sua parte in commedia. Magari costretto da obblighi superiori a temporanee assenze, vedi alla voce Pd valsusino, ma intenzionato a proseguire con i mezzi a sua disposizione la lotta contro l’Alta velocità.
La manifestazione di domani non sarà che un prologo, per quanto importante. E l’autunno porterà con sé altre occasioni di tensione, a cominciare dagli espropri dei terreni necessari all’allargamento del cantiere. Sandro Plano parla delle attuali recinzioni come di «una protezione del nulla». Oltre le reti ci sono però quasi due ettari di campagna in mano al movimento No Tav che li ha acquistati e spezzettati dividendoli per quote simboliche di un paio di metri quadrati. Su quei lembi di terra si gioca la saldatura simbolica tra militanti ed esponenti della società civile torinese contrari all’Alta velocità, che negli anni si sono intestati alcuni di quei microappezzamenti.
Livio Pepino ride forte al telefono. «Non è certo un grande investimento immobiliare…». Il nome dell’ex membro del Csm ed ex presidente di Magistratura democratica è saltato fuori in questi giorni via agenzie di stampa, ma in realtà l’acquisto del terreno risale al 2009. «Come cittadini non si riesce a interloquire, vediamo allora se come proprietari qualcuno dà ascolto». Pepino anticipa le obiezioni e va dritto al punto. «Tutta la questione Tav viene ridotta agli scontri, al momento finale. Ma così si appiattisce ogni argomento. I contrari, invece, possono essere dalla parte della ragione anche se qualcuno di loro usa metodi non condivisibili. E io resto convinto che la Torino-Lione sia inutile e dannosa anche se non sono certo d’accordo con alcuni metodi di lotta. Ho fatto il magistrato per 41 anni, per me la legalità è un valore».
I terreni sono fondamentali per l’imminente allargamento del cantiere, che presto diventerà operativo. Ma gli espropri, previsti per la seconda metà di novembre, passano attraverso la notifica in loco ai proprietari, e saranno quindi occasione di contatti e interlocuzioni ravvicinati tra militanti e forze dell’ordine incaricate della notifica. «Appunto. Ogni volta ci sarà una grana diversa. La gente che auspica l’estinzione di questo movimento non ha capito nulla. Noi ci saremo anche tra vent’anni». Luigi Casel si vede poco. Ha 52 anni, due figlie naturalmente No Tav, è il responsabile degli asili nido della Comunità montana, ha combattuto una brutta malattia. È qualcosa meno di un amministratore, nel 2009 ha perso la corsa a sindaco di Bussoleno per quattro voti; è molto più di un semplice militante.
Le informative dei servizi segreti gli assegnano un ruolo di leader operativo della protesta, in quanto coordinatore dei comitati popolari della valle. Lui smentisce, ma non nega di essere uno che conta. Anche per questo le sue parole vanno lette con una certa attenzione per capire quel che accadrà in una manifestazione che dopo gli scontri di Roma vive di attese e tensioni oltre il livello di guardia. «La battaglia del 3 luglio fu la risposta dovuta allo sgombero della Libera repubblica della Maddalena». Disegna un cerchio con le mani: «Ma c’era un aspetto circolare, una storia aperta e chiusa lì».
Domenica si apre invece una fase nuova, ma lasci ogni speranza chi sogna i fiori sui blindati della polizia e tranquille marce di paese. Non andrà così. L’autunno della Val di Susa sarà lungo e complicato. «Andiamo incontro alle forze dell’ordine determinati, preparati a prenderle e non a darle. Cercheremo di entrare nel cantiere, chi ci fermerà dovrà decidere se e come farlo, perché noi non ci fermeremo. Questa sarà la strategia dei prossimi mesi».
A questa determinazione nel farsele dare dalla polizia va sommata l’ordinanza di ieri del prefetto di Torino, che allargando di oltre un chilometro l’area proibita, impedisce l’accesso ai sentieri che portano al cantiere, e di fatto trasforma il corteo in una specie di sit-in al campo sportivo di Giaglione. «Inutile dire che noi cercheremo ugualmente di andare al cantiere». Casel rifiuta con forza l’idea che questa svolta venga riassunta come una indefessa ricerca di un martire da consegnare al movimento No Tav. Anche se dopo aver spento l’ennesima sigaretta aggiunge: «Non cerchiamo, ma siamo disponibili». E purtroppo non si tratta di una battuta.
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