CRISI GLOBALE
A sinistra serpeggia una critica agli effetti della crisi che rischia di non fare i conti col suo carattere profondo e strutturale. Spesso si sostiene che vi sia una sorta di manovra occulta contro l’Europa ad opera di una speculazione non sempre precisata. Una recente descrizione dei processi finanziari in corso li riduceva a una manovra di stampo anglosassone contro l’Europa mediterranea per metterla in ginocchio e obbligarla a privatizzare/svendere il proprio patrimonio pubblico. Come se a produrre gli attuali fenomeni intervenissero varianti esogene e non i normali processi di un’economia di mercato globale in crisi. Queste impostazioni faticano a prendere sul serio questa crisi, semplificandola e riducendone la portata sistemica.
CRISI GLOBALE
A sinistra serpeggia una critica agli effetti della crisi che rischia di non fare i conti col suo carattere profondo e strutturale. Spesso si sostiene che vi sia una sorta di manovra occulta contro l’Europa ad opera di una speculazione non sempre precisata. Una recente descrizione dei processi finanziari in corso li riduceva a una manovra di stampo anglosassone contro l’Europa mediterranea per metterla in ginocchio e obbligarla a privatizzare/svendere il proprio patrimonio pubblico. Come se a produrre gli attuali fenomeni intervenissero varianti esogene e non i normali processi di un’economia di mercato globale in crisi. Queste impostazioni faticano a prendere sul serio questa crisi, semplificandola e riducendone la portata sistemica.
A volte per comprendere il contesto è utile volgere l’attenzione al dibattito e alle analisi prodotti in campo avverso. Il Fmi sostiene che quasi la metà dei titoli di Stato emessi nell’Eurozona mostra segnali di un innalzamento del rischio di credito e che le banche che li detengono si trovano in difficoltà sui mercati. La crisi politica dell’Ue, ove emergono drammaticamente i limiti di un progetto di unificazione sbilanciato sul versante monetario, acuisce l’instabilità non solo del sistema creditizio autoctono, ma a livello internazionale. Inoltre importanti istituti di credito hanno prestato soldi a banche che detengono titoli di Stato a rischio ponendo le basi di un effetto a catena. Il meccanismo è infernale: la crisi del 2008 ha ulteriormente incrinato bilanci pubblici già in affanno che a loro volta si ripercuotono sui bilanci delle banche, quando ormai le garanzie statuali hanno perso sempre più valore trascinandosi dietro un indebolimento dell’intero settore creditizio. Il settore privato diventa ancora più prudente indebolendo l’economia reale che a sua volta acuisce problemi di solvibilità degli Stati e del settore finanziario. Questo circolo vizioso fa dire a un attento osservatore come Martin Wolf che «nella peggiore delle ipotesi, il mondo è sull’orlo di una grande crisi».
L’unica certezza è rappresentata dal conto che progressivamente le classi subalterne stanno pagando per difendere un sistema a loro sempre più estraneo. Siamo d’accordo con Tonino Perna quando scrive che da qui se ne esce con una svolta radicale, che rimetta in discussione cosa, come e per chi produrre, senza l’illusione di patti tra produttori, senza possibilità di uscirne tutti insieme appassionatamente. Il punto di partenza è la messa in discussione della legittimità del debito e quindi della necessità di pagarlo. La politica di sinistra però non sembra ancora essersene accorta. Anzi il rischio è che dopo Berlusconi arrivino le tanto attese riforme strutturali.
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