Un’indagine ben condotta, con testimonianze e intercettazioni, porta alla sbarra i cinque poliziotti accusati di maltrattamenti. Ma ora incombe la beffa della prescrizione ASTI Va a processo la «squadretta di pestatori»
Le denunce di due reclusi hanno rotto il silenzio. Altri secondini hanno parlato
Un’indagine ben condotta, con testimonianze e intercettazioni, porta alla sbarra i cinque poliziotti accusati di maltrattamenti. Ma ora incombe la beffa della prescrizione ASTI Va a processo la «squadretta di pestatori»
Le denunce di due reclusi hanno rotto il silenzio. Altri secondini hanno parlato
Questa è una intercettazione telefonica tra due agenti di polizia penitenziaria (P. e B.) del reparto di isolamento del carcere di Asti.
P.: …Invece da noi non è così… a parte il fatto che… da noi tutta la maggior parte che sono… è tutta gentaglia… è tutta gente che prima… e poi scappa… Poi vengono solo… quando sono in quattro cinque… così è facile picchiare le persone»
B.: E bello…
P.: Ma che uomo sei… devi avere pure le palle… lo devi picchiare… lo becchi da solo e lo picchi… io la maggior parte che ho picchiato li ho picchiati da solo…
B.: Sì… sì
P.: Ma perché comunque non c’hai grattacapi… non c’hai niente… perché con sta gente di merda… hai capito… perché qua… oramai… sono tutti bastardi… oramai c’abbiamo il grande Puffo… che deve fare le indagini… hai capito?
B.: Chi?
P.: Eh P.!!! Ha rotto i coglioni… mo dice che ha mandato la cosa di S… in Procura…
B.: Quale S?
P.: S… dice che ha picchiato non so a chi… là… ha mandato tutto in Procura… ha preso a testimoniare un detenuto… cioè noi dobbiamo stare attenti pure su… se c’è un… pure con le mani bisogna stare attenti. Eh anche perché rovinarti per uno così a me l’altra volta che io e D. picchiammo…
Gli agenti P. e B. sono accusati di far parte di una squadretta di pestatori che aveva in gestione monopolistica, incontrollata e violenta il reparto di isolamento della casa circondariale piemontese. Per loro e altri tre poliziotti (su dodici indagati) i giudici hanno disposto il rinvio a giudizio. Per usare le parole dei magistrati, sottoponevano i detenuti, senza alcun motivo plausibile, a un «tormentoso e vessatorio regime» di vita all’interno del carcere.
Giovani detenuti, italiani e stranieri, ad Asti erano picchiati sistematicamente in modo brutale; erano lasciati nudi e senza cibo per giorni, nutriti a pane e acqua come nei peggiori prison movies. A un ragazzo gli avrebbero fatto letteralmente lo scalpo. Il Grande Puffo invece è un onesto ispettore di polizia penitenziaria che non ha coperto i suoi sottoposti usi a imitare i torturatori di Garage Olimpo. Il 27 ottobre inizierà il processo. L’accusa per i cinque è di maltrattamenti. Due sono i detenuti coraggiosi che si sono costituiti parte civile e che con le loro dichiarazioni hanno reso possibile l’avvio dell’azione giudiziaria. Le loro dichiarazioni sono confermate da alcuni agenti di polizia penitenziaria.
Così testimonia un agente in servizio ad Asti. «Io ho assistito personalmente al pestaggio del R. da parte di B. e G… Per quanto ne so non vengono mai refertate le lesioni, in parte perché si cerca di evitare di lasciare segni mentre si picchia, in parte perché in ogni caso l’altro detenuto la cui cella viene lasciata aperta, viene utilizzato per testimoniare, se necessario, che l’agente aveva subito un’aggressione dalla persona che l’aveva invece subita… Nel caso in cui i detenuti risultino avere segni esterni delle lesioni, spesso i medici di turno evitano di refertarli e mandano via il detenuto dicendogli che non si è fatto niente o comunque chissà come si è procurato le lesioni. Inoltre convincono a non fare la denuncia dicendogli che poi vengono portati in isolamento dove non ci sono le telecamere e poi picchiati nuovamente. So che B. prima di effettuare pestaggi verifica quale è il medico di turno… So che anche il collega S. è solito picchiare i detenuti. S. beve super alcolici sistematicamente anche in servizio; specialmente nel turno serale è quasi impossibile parlarci per quanto ha bevuto. Spesso picchia i detenuti quando è in questo stato. Oltre ai pestaggi punitivi, tra noi agenti che facevamo servizio in isolamento, ci passavamo la consegna di non dare da mangiare al detenuto ‘punito’. Quando un detenuto andava punito si faceva in modo che si facesse una relazione per farlo mandare in isolamento perché lì si poteva picchiare o togliere i pasti senza problemi».
Quello descritto è un terrificante mix di violenza, degrado morale, abusi di alcool e droga, come si legge in altre parti della relazione della polizia giudiziaria. Sembra un carcere birmano, invece siamo ad Asti. Le intercettazioni pubblicate ben spiegano quale sia lo scandalo delle torture di Asti. Sì, torture. Non sarà l’assenza del crimine nel codice penale italiano a impedire una definizione così appropriata.
Ad Asti operava fuori dalla legalità una squadretta di poliziotti penitenziari senza troppi intoppi da parte di medici e superiori. A dirlo sono i magistrati che hanno condotto e chiuso le indagini. Indagini ben fatte, questa volta. Questa inchiesta, a differenza di altre finite su binari morti, è per ora arrivata a processo. In questo caso sono accaduti fatti nuovi: lo spirito di corpo non è prevalso, alcuni poliziotti hanno rotto il muro dell’omertà che in altri casi è stato erto a protezione dei violenti. Incombe sempre però la beffa della prescrizione. L’associazione Antigone ha chiesto di entrare nel processo come parte civile. Vorremmo lo facesse anche il ministero della Giustizia. Sarebbe un bel gesto riparatore, un bel segnale alla comunità penitenziaria.
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