Né infiltrati né black bloc. Una crepa interna al Movimento e la rabbia sociale. Abbiamo cercato di capire cosa abbiamo di fronte con l’aiuto di una fonte vicina al coordinamento
Né infiltrati né black bloc. Una crepa interna al Movimento e la rabbia sociale. Abbiamo cercato di capire cosa abbiamo di fronte con l’aiuto di una fonte vicina al coordinamento
Sono passati quattro giorni da “Roma brucia” e si possono individuare alcuni punti fermi per cercare di capire cosa sia successo e da dove viene quella “violenza”.
Perché dall’intervista di Carlo Bonini a uno dei “neri” che ha partecipato agli scontri appare chiaro che: chi ha scatenato la violenza si preparava da tempo, non riconosce nessun interlocutore politico, è in guerra; tutti sapevano sia polizia che movimento; non è finita.
A parte le responsabilità enormi del Ministro Maroni e dei capi della polizia per come è stato organizzato l’ordine pubblico (capitolo a parte, qui mi occupo di quello che è successo dentro l’organizzazione del 15 ottobre), il movimento dovrebbe aprire una discussione pubblica e prendersi le dovute responsabilità, solo così potrà sopravvivere a quello che è successo.
Ad aiutarmi a fare il quadro della situazione anche una fonte, che vuole rimanere anonima, vicina al coordinamento del 15 ottobre.
1) Chi ha organizzato la manifestazione? Una rete di associazioni, movimenti, studenti, precari. L’elenco è qui sul sito ufficiale del 15 ottobre (l’ultimo post è datato 5 ottobre). In realtà il nucleo vero era costituito da: Uniti per l’alternativa, varie emanazioni sindacali, Arci.
2) Cosa è successo all’interno del movimento? Ad agosto esce questo articolo sul Manifesto firmato da Rinaldini e Casarini.Molti dentro al movimento non la prendono bene: secondo alcuni sarebbe l’inizio dell’accordo con SEL per ottenere seggi in Parlamento, in vista delle prossime elezioni.
Intanto la discussione su come organizzare la manifestazione si fa tesa. C’è l’area antagonista “canonica” in mano a Raparelli – Casarini che punta ad un corteo pacifico: fiori, baci, canti e balli e comizio finale a San Giovanni, assecondando così le pressioni “istituzionali”.
Ma c’è l’area antagonista insurrezionalista che si oppone: la crisi non si combatte con i palloncini, bisogna occupare le piazze e i luoghi del potere. L’accusa nei confronti dei “dialoganti” è esplicita: volete ridurre la manifestazione a folklore per un seggio in Parlamento. (Qui la risposta di Vendola).
Raparelli-Casarini non riescono a imporre un servizio d’ordine.
3) Che cos’è successo durante la manifestazione? Fin dalla partenza la tensione è altissima.
Dall’articolo di Marco Imarisio:
Tutti sapevano quel che stava per accadere, era chiaro fin dall’inizio. Alla partenza, in Piazza della Repubblica si respirava poca allegria. Molte facce tese, sguardi preoccupati. Maurizio Landini, segretario generale della Fiom, era attorniato dai suoi fedelissimi. «Noi ci siamo, ma garantiamo solo per noi» dicevano, mettendo le mani avanti. I centri sociali del Nord Est, Padova autonoma e dintorni, sceglievano una posizione defilata, e non per caso.
Sintetizzando al massimo possiamo dividere i disordini in due fasi:
> Prima fase: teppismo puro lungo via Labicana e via Cavour. Senza che nessuno tentasse di fermarli, i “neri” hanno cominciato a spaccare ogni cosa completamente indisturbati.
> Seconda fase: Piazza San Giovanni. Qui una parte del corteo si associa ai violenti (per quella che alcuni hanno definito “resistenza” agli attacchi della polizia), mentre un’altra parte invece si ribella ai violenti e cerca alleanza con la polizia.
4) Tutti sapevano? Secondo l’ex leader dei No Global Francesco Caruso sì, tutti sapevano, l’organizzazione sapeva e l’unico modo per evitare quello che è successo era evitare un corteo così grande. Gli organizzatori si sono illusi di poter fare una passeggiata sindacale, “E così s’è ripetuto uno schema simile a quello della cacciata di Luciano Lama del 17 febbraio del ’77, quando il segretario della Cgil fu costretto ad interrompere un comizio alla Sapienza per la contestazione degli studenti di Autonomia operaia. La manifestazione se la sono presa loro, gli incappucciati. Autolesionisti “.
Cosa bisognava fare allora secondo Caruso una volta in piazza? “Avrei detto: volete violare il cordone di polizia per puntare su Palazzo Grazioli? Bene, facciamolo. Ma con gli strumenti della disobbedienza civile, con le mani alzate, senza sfasciare vetrine e incendiare auto. Ci sarebbe venuto dietro tutto il corteo, e avremmo avuto il consenso di mezz’Italia”.
Dall’interno dei movimento dunque si sapeva, ma nessuno poteva immaginare quello che poi è successo. Rimane il fatto che la mancanza di servizio d’ordine in una manifestazione di 200mila persone e una gestione quanto meno impropria da parte della polizia (per vari motivi che meriterebbero un post a parte) hanno permesso ore di guerriglia nella Capitale.
Che la questione sia interna al movimento lo si capisce anche dalle dichiarazioni di Andrea Alzetta del collettivo Action, eletto nel consiglio comunale di Roma, a Giovanni Bianconi del Corriere della Sera: “Io non faccio la spia, e i conti preferisco regolarli dentro casa, ma quei ragazzi incappucciati che hanno fatto gli scontri sono i nostri figli e fratelli minori. Sono ragazzi arrabbiati e disperati ai quali non basta la sponda politica che noi cerchiamo di offrire. E se la politica non cambia, se neppure il movimento antagonista riesce a individuare una prospettiva credibile, lo scenario purtroppo è e sarà questo”.
5) I centri sociali sotto accusa Tra i principali centri sociali sotto accusa, così come emerge dalla ricostruzioni dei media: Askatasuna di Torino, Acrobax di Roma e Gramigna di Padova.
Askatasuna sul suo sito mette la firma “politica” alle violenze senza attribuirsi però la responsabilità diretta e denuncia: Al 15 ottobre ci si è arrivati in una situazione assurda, dove gli organizzatori dei comizi finali in piazza San Giovanni, avevano desistito da tempo di sfilare verso i palazzi del potere romano, che era l’unica cosa incisiva in una giornata del genere. Le iniziative dei giorni scorsi volevano smorzare e incanalare una rabbia diffusa e irrapresentabile che oggi si è manifestata in tutta la sua espressione. Si è visto un corteo di giovani, per lo più giovani, non rappresentati da nessuno neanche all’interno del movimento, che in quel “Que se ne vayan todos”, si sono riconosciuti appieno.
Giovani studenti, precari o disoccupati che si sono portati anche la maschera antigas nello zaino, perché pensavano di partecipare ad una giornata di riscossa, un po’ come per il 14 dicembre dell’anno scorso, dove nonostante tutti i calcoli degli organizzatori, il corteo straripò, fuori dai recinti e dalle mediazioni.
Oggi poteva solo succedere qualcosa in più dei piani prestabiliti, era normale, era nell’aria, spiace che ci sia chi non lo ha voluto vedere e si è voluto coccolare il suo orticello fatto di qualche poltroncina con Sel alle prossime elezioni. Spiace la rinuncia degli organizzatori a puntare dritta verso i palazzi del potere, perché questo ha lasciato di fatto mano libera alla spontaneità, che non essendo indirizzata, ha consumato, dall’inizio, passo per passo, l’attacco a tutto ciò che è considerato simbolo del sistema di iniquità.
Qui alcuni passaggi dell’intervista di un attivista di Acrobax rilasciata al Manifesto:
L’album di figurine ricostruito da certi media è ridicolo. Gli avvenimenti di sabato rivelano la temperatura sociale del Paese.
Ma il punto che sfugge ai più è che uno spezzone sia pur organizzato e militarizzato di rivoltosi non avrebbe avuto la forza di tenere sotto scacco per ore la polizia e trasformare piazza San Giovanni in un campo di battaglia. La resistenza, lì, è stata diffusa, la guerriglia l’hanno fatta migliaia di manifestanti. E noi con loro. Ma è su questo che si deve riflettere: come mai un piccolo gruppo di «violenti» è riuscito a trascinare con sé tanta gente? Chi erano queste persone?
Il comitato 15 ottobre sapeva benissimo che noi non riconoscevamo e contestavamo le loro scelte politiche. Come è avvenuto in tutto il mondo – da New York a Milano – noi volevamo portare la nostra protesta sotto i palazzi del potere. La nostra manifestazione sarebbe dovuta finire altrove, non in piazza San Giovanni. Le nostre azioni erano mirate, politiche. Volevamo sanzionare l’abuso di potere che costruisce zone rosse off-limits.
Alla domanda se hanno raggiunto i loro obiettivi risponde:
Non abbiamo risolto il problema ma l’abbiamo reso evidente. Anche se non siamo caduti nella trappola della polizia e non abbiamo forzato il muro costruito a difesa del centro trasformato in zona rossa. E non abbiamo nemmeno paura di dire che certe azioni, come bruciare le auto all’interno del corteo o danneggiare la statua della Madonna, sono stupide e irresponsabili.
Ma è stata colpa delle cariche della polizia e del modo di gestire le forze dell’ordine se gli scontri sono finiti proprio dentro la piazza dove il corteo avrebbe dovuto approdare. È davanti ai caroselli impazziti della polizia e alle auto lanciate contro la folla, che i manifestanti si sono uniti ai pochi «violenti», come li chiamate voi, iniziali. Noi non provochiamo la rivolta ma nemmeno faremo i pompieri: meglio che tutto ciò emerga.
A questo punto, o le rappresentanze politiche mostrano uno scatto di responsabilità, cercando di comprendere il senso e di dare delle risposte al conflitto, oppure quello che è successo sabato non è che l’inizio. E non è una minaccia, è una constatazione.
Per questo, senza fare alcuna apologia della violenza, diciamo che se il conflitto non trova altri sbocchi, in qualche modo esplode. È chiaro che si vuole instaurare uno stato d’eccezione per poi gestirlo in emergenza.
6) Chi sono “i neri”? Nè fascisti, né infiltrati della polizia, né black bloc
Possono aiutare a capire chi ha voluto, organizzato e scatenato la violenza e che cosa abbiamo di fronte:
> Il racconto che fa Aut Aut di Pisa della giornata, che si conclude così, fotografando forse lo stato d’animo del movimento in questo momento: Pensiamo, nella nostra parzialità, la giornata di ieri ci consegni un dato di profonda rabbia e disagio, ci consegni una componente nuova molto giovane e molto arrabbiata. Una componente che rifiuta totalmente le idee di “alternativa democratica”.
Questo è un dato da cui non si può sfuggire. Perché le ricette di alternativa o sono partecipate e stanno nei cambiamenti, stando anche nella rabbia, o sono solo lariproposizione del vecchio, cose che un tempo non hanno funzionato e vengono riproposte e, bene che vada, al massimo possono provocare orrore come solo i vecchi fantasmi sanno fare. Dall’altro lato c’è che gli scontri di ieri, anzi, la scintilla che ha provocato gli scontri di ieri ci è piaciuta poco, perchè le macchine bruciate ripropongono dibattiti come quello su violenza e non violenza che speravamo superati. C’è che la rabbia se è solo rabbia non è altro che annichilimento.
C’è che se ieri hanno resistito in molti, in molti sono andati via, in molti hanno provato a cacciare via chi bruciava le macchine. In molti hanno fatto a botte per allontanare chi dava fuoco a Via Merulana. C’è che per agire il cambiamento, che è quello che conta perchè questo mondo, questa società in crisi va cambiata, non basta la rabbia. C’è che molto probabilmente i giorni a venire saranno durissimi e che le risposte politiche che adesso abbiamo non sono all’altezza.
> Il racconto della mia fonte:
Nonostante abbia parlato con compagni che c’erano e che sono piuttosto addentro alle “secrete cose” del movimento, nessuno è davvero in grado di dire quale fosse la reale matrice dello spezzone nero. Da quello che posso capire, sono per lo più giovanissimi, di provenienza da aree contigue all’antagonismo classico più radicale, sia di matrice anarchica che autonoma, ma anche da frange del tifo ultrà, qualcuno dice.
Per quanto riguarda Acrobax, che era in testa allo “spezzone precario”, spezzone seguito a ruota dai “neri” e poi dai Cobas, è noto che fosse uno dei soggetti più critici rispetto ai progetti di Uniti per l’Alternativa e che volesse rappresentare in piazza un'”area indipendente”, ma non risulta che, nonostante rivendichino di aver preso al processo di “resistenza” in Piazza San Giovanni, come da intervista rilasciata da uno dei militanti a Il Manifesto e lanciassero roboanti quanto inopportuni proclami attraverso i microfoni del carro, questi fossero in alcun modo organici ai “total black”.
L’urgenza del movimento, dei movimenti, dovrebbe essere quella di smontare politicamente questo fenomeno, trovando la capacità di riassorbire il tutto in ambiti più ragionevoli. Non penso affatto che il piano repressivo possa funzionare, anzi.
> La lettura di questo post No Future No Peace Siamo noi la generazione fuori dalla storia. Rabbiosa, disperata, accecata dalla furia… E allora che cosa abbiamo da perdere, che cosa dobbiamo chiedere, e chi sarebbero i nostri interlocutori? I vecchi sindacalisti che ci hanno fottuto la vita? O i politici che si riciclano un giorno sì e l’altro pure riempiendosi la pancia di cibo, le tasche di soldi e le case di servi?
La verità è che noi siamo già oltre. Siamo oltre la sfera del bene e del male, furia cieca e rabbia nera. Non cerchiamo giustificazioni, è inutile parlare. E’ inutile discutere. Non cercate di capirci. Non potete. Perché avete un passato, o un presente e anche se non ci credete alcuni di voi hanno anche un futuro. Perché non vogliamo avere ragione. Perché siamo fuori dalla storia. Nel bene e nel male.
Ma non cercate di addossarci la responsabilità del nostro presente. Perché l’unica cosa che abbiamo è la nostra vita. E un posto per noi lo troveremo. Costi quello che costi. No future, no peace.
> L’intervista a un guerrigliero napoletano di 22 anni.Tutti sapevano che ci sarebbero stati gli incidenti. Di quello che pensano e fanno gli indignati non ce ne frega niente. La loro manifestazione per noi era un palcoscenico e ce lo siamo presi. In Italia i black bloc non si vedono dal G8 di Genova e forse non esistono neanche più. Non possono bollarci come corpo estraneo. La rivolta la guidiamo noi.
E ora?
C’è chi cerca di ragionare, di capire, al netto delle condanna della violenza. Come fa Sandrone Dazieri in questo post intitolato emblematicamente Cupezza.
Chi da dentro il movimento come Cremaschi ammette che il 15 ottobre è stato un disastro. La risposta non può essere la negazione della realtà. I giovani che sfasciavano tutto, e che hanno aggredito prima di tutto il corteo e la manifestazione, vanno affrontati prima di tutto come un problema politico. O sappiamo affrontare questa crisi dei nostri movimenti e delle nostre lotte con un confronto aperto e con una pratica democratica vera, oppure rischiamo di veder travolte la nostra forza e le nostre ragioni. E’ molto facile, di fronte a questa crisi economica, alla disperazione che produce, alla chiusura e alla crisi della nostra democrazia, che cresca lo spazio per azioni di carattere disperato. Se vogliamo impedirlo dobbiamo maturare in fretta e, senza ipocrisie, assumerci la responsabilità dei fallimenti. E il 15 ottobre in Italia lo è stato.
Intanto gli Indignados…
Sono accampati in Assemblea Pubblica in Piazza S. Croce in Gerusalemme. Qui la loro pagina su facebook e qui gli interventi a L’Infedele di lunedì subito dopo i fatti del 15 ottobre.
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