Sul nostro sito (www.democraziakmzero.org) abbiamo tradotto un Faq di Nathan Schneider dal The Nation, la storica rivista di sinistra di New York, sul movimento Occupy Wall Street, la sua nascita, i suoi modi di funzionare, le sue prospettive.
Sul nostro sito (www.democraziakmzero.org) abbiamo tradotto un Faq di Nathan Schneider dal The Nation, la storica rivista di sinistra di New York, sul movimento Occupy Wall Street, la sua nascita, i suoi modi di funzionare, le sue prospettive. Faq (frequently asked questions) è un tipo di testo in cui si radunano le molte domande che arrivano per mail e chi ne sa, è stato sul terreno, spiega quel che accade. Una cosa simile, ma attraverso un dialogo diretto con un portavoce di Democracia Real Ya, una delle componenti degli “indignados” spagnoli, aveva fatto, sul sito di “Mémoires des luttes” (www.medelu.org), Bernard Cassen, e anche questo colloquio si trova sul sito di DKm0. La cosa interessante è che «fuori del recinto» (come dice Fausto Bertinotti nell’intervista con Loris Campetti, si tende a comportarsi in modi molto simili, si tratti di New York, Barcellona, Atene o Tel Aviv. Prima di tutto, le chiamate all’azione sono auto-generate su internet. Nel caso di New York è stata una rivista canadese, Adbusters, nata in origine, una dozzina di anni fa, per decodificare e contestare la pubblicità (scopo che in Italia sembra ancora una bizzarria). Poi, gruppi di persone che non hanno evidentemente niente da perdere, in generale giovani, si impossessano simbolicamente e praticamente di uno spazio pubblico, una piazza (la Puerta del Sol, piazza Syntagma, lo Zuccotti Park…). Ma, soprattutto, come spiega Schneider su The Nation, si pongono come obiettivo principale, almeno all’inizio, la creazione di «un movimento di nuovo tipo», in cui non esistono leader, si prendono decisioni solo per consenso (non si vota, non si creano fazioni né maggioranze o minoranze), ci si prende cura della comunicazione verso l’esterno (a suo tempo era possibile, come oggi per New York, vedere in diretta quel che accadeva ad Atene) e nei confronti dei grandi media, si istituiscono assemblee generali quotidiane e gruppi di lavoro sulle più diverse questioni. In questi casi, come diceva quel tale, il mezzo è il messaggio. E cioè è il modo stesso di fare movimento a dire che cosa in effetti si vuole. In Spagna o in Grecia contro le classi politiche corrotte o sorde, negli Stati uniti contro la “corporate democracy” in cui a decidere sono i flussi di denaro delle lobby, delle grandi imprese e delle banche, e non i cittadini. Mercoledì sera, nel talk show Ballarò, il vicedirettore del Corriere della Sera, Pierluigi Battista, incalzava con insistenza il giovane sindaco di Cagliari, Zedda: «Allora, bisogna fare quello che dice la lettera della Bce o no?». Il povero Zedda non se l’è sentita di fare a sua volta la domanda chiave: «Scusi, ma la Bce, che impone le politiche ai governi, da chi è stata eletta?». È come dice Bertinotti: o sei fuori o sei omologato. I movimenti come gli “indignados” o Occupy Wall Street fanno – per forza di cose – una scelta iper-radicale: stanno fuori, e anzi mostrano come dovrebbe funzionare una democrazia: con il consenso. Una sorta di grado zero della decisione collettiva. Ottenendo così di coinvolgere man mano, come sta succedendo negli Stati uniti, lavoratori, migranti, ceto medio, cittadini in generale. Una neo-politica in formazione.
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