Nel ‘900 delle italiane il «fil rouge» dell’istruzione

Due libri recenti dedicati alla storia delle donne nel nostro paese
In «Donna Italia» di Nicoletta Bazzano e in «Italiane» di Perry Willson il ruolo della cultura come elemento-chiave di cambiamento radicale

 

Due libri recenti dedicati alla storia delle donne nel nostro paese
In «Donna Italia» di Nicoletta Bazzano e in «Italiane» di Perry Willson il ruolo della cultura come elemento-chiave di cambiamento radicale

  Si possono ravvisare tre livelli comuni in due saggi usciti di recente e dedicati entrambi alle donne italiane (Nicoletta Bazzano, Donna Italia. Storia di un’allegoria dall’antichità ai giorni nostri, Angelo Colla Editore, pp. 176, euro 18, e Perry Willson, Italiane. Biografia del Novecento, Laterza, pp. 358, euro 25): un ambizioso orizzonte temporale, un accento disinibito sui passaggi più controversi delle vicende nazionali e la fiducia in un simbolo magico dell’emancipazione – la cultura, il titolo di studio.

L’orizzonte temporale è audace nel testo di Bazzano, dove dal primo secolo avanti Cristo l’allegoria di Donna Italia è ripercorsa in competizione con quella di Roma, la città protagonista della storia per molti secoli; è ampio e simbolico nel libro di Wilson, che abbraccia la biografia delle Italiane dall’inizio alla fine del Novecento. Ad apparentare i due testi, l’anniversario dei centocinquanta anni dall’unità.
Poiché identifica il luogo Italia con la donna Italia, Bazzano deve rintracciare le immagini che giustifichino questa sua sovrapposizione. Monete, illustrazioni, effigi, icone vengono assemblate come materiale di prova della nascita dell’allegoria femminile attraverso profili iconografici all’inizio indistinti, appena percepibili, che si precisano in certi periodi e impallidiscono in altri. È curiosa la ricostruzione della rivalità tra Italia e Roma come due entità diversamente egemoniche, nella quale l’autrice parteggia per l’emergente reputazione della prima, dotata di una vitalità dolente e orgogliosa insieme. I periodi di declino e di oblio durante i quali «Donna Italia» sembra eclissarsi – «a stento mi è rimasto il nome» – sono puntualmente ricostruiti nei loro episodi chiave, nelle loro ragioni storiche e geografiche. Dante Alighieri, Ugo Foscolo, Giacomo Leopardi, Alessandro Manzoni svolgono un ruolo importante nell’elargire fiducia e composizioni poetiche all’allegoria italiana, soprattutto alla sua identità unitaria. Molte testimonianze documentano i secoli della frammentazione territoriale e molta retorica alimenta la visione nazionalistica del fascismo. Ma l’enfasi del linguaggio fascista scompare di colpo nel dopoguerra, come se la cultura nazionale, la sua crescita complessiva, avessero subito una rotazione verso la semplicità e la moderazione e come se il salto di qualità verso la democrazia avesse depurato l’immaginazione. Gli uomini italiani e le donne italiane si recano a votare per il referendum sulla monarchia o la repubblica con l’effigie dell’Italia bene evidente sulla scheda destinata al voto repubblicano.
Italiane di Willson si propone come un’opera di sintesi, e di questo gli storici dovrebbero essere grati all’autrice, che non ha optato per un’operazione settoriale e circoscritta bensì ha scelto coraggiosamente di tracciare un affresco ampio e accurato. «La vita delle donne è cambiata radicalmente nel ventesimo secolo», è l’esordio. Come è accaduto anche in altri paesi, non solo in Italia, ma vengono subito sottolineati gli elementi tipicamente italiani di questo secolo – il miglioramento economico avvenuto più tardi, i due decenni di dittatura fascista, la forza della Chiesa cattolica, l’importanza della dimensione politica, la tenuta formidabile della famiglia.
Tutta la prima parte del testo, un fermo immagine dei primi anni del Novecento, è un pullulare di raggruppamenti femminili, di posizioni delle donne pro e contro il suffragio, di passi avanti verso i diritti e di passi indietro verso i doveri. E di anticipazioni: se ne rintraccia una del tutto sorprendente, quando nel 1908 Laura Malnati, nel corso di un dibattito sull’educazione con le donne cattoliche, propone di eliminare l’ora di religione dalle classi elementari e di sostituirla con l’insegnamento comparato di storia di tutte le religioni. Un’anticipazione culturale che neanche nei politicizzati anni settanta i militanti sono riusciti a imporre come orientamento generale.
Nel tessuto narrativo del libro la prima parte del Novecento è un susseguirsi di pro e contro : quando ci sembra che emergano in primo piano passi avanti significativi, richieste coraggiose, cifre elevate di partecipazione, veniamo subito deluse da un bilancio finale di piccoli numeri, di dichiarazioni rinunciatarie, di conclusioni in perdita. C’è un unico filo che procede senza frenate brusche, a dispetto delle guerre e dei cambiamenti politici, ed è – come vedremo – il filo dell’istruzione.
Dopo essersi misurato con i piccoli numeri, il libro entra nella dimensione di massa con il regime del fascismo. Quantunque ci abbiamo preparato Vicky De Grazia e Michela De Giorgio (rispettivamente con Le donne nel regime fascista, Marsilio 2007 e Le Italiane dall’Unità ad oggi, Laterza 1992) la singolarità dell’esperienza delle donne nel fascismo colpisce ancora la nostra mente impreparata. Qui le doti di ricostruzione degli storici sono messe particolarmente alla prova. Da un lato bisogna dar conto della battaglia demografica, dell’estromissione delle donne dai ruoli direttivi, della misoginia dei gerarchi del regime, dall’altro bisogna accorgersi dei paradossi : l’efficacia emancipatrice della mobilitazione di massa, sia del regime sia delle organizzazioni cattoliche, l’invenzione dell’Onmi, l’attivazione delle massaie rurali, l’uscita in pubblico, fuori di casa, per motivi politici, delle giovani e meno giovani italiane.
La modernizzazione, questo controverso effetto culturale di una dittatura autoritaria, con la sua ginnastica e i suoi littoriali (cui le donne vengono ammesse sia pure in ritardo) è un fenomeno di cui il libro dà conto. È interessante come molte novità riguardanti la vita femminile vengano catturate per default, nelle pieghe di avvenimenti del tutto negativi e tragici come le guerre, e nei risvolti di imprese indirizzate a irreggimentarle, come le associazioni cattoliche: l’emancipazione è sempre un fuoriuscire, un sortire dalla continuità – una discontinuità. Così, a proposito della seconda guerra mondiale, Willson scrive che mantenere il confine fra sfera pubblica e sfera privata era diventato impraticabile per le donne anche prima della partecipazione alla resistenza, a causa dei bombardamenti e degli approvvigionamenti complicati che era necessario assicurare.
Oggi che la distinzione tra queste due sfere è praticamente scomparsa colpisce leggere che negli anni ’30 e ’40 esistesse con tutti i suoi divieti e che l’accademia di ginnastica di Orvieto e le esigenze del fronte interno avessero collaborato nel rimuoverla. Agnese Pitrelli, citata da Willson, viaggia in treno da sola al ritorno da una gara sportiva provocando lo sbalordimento di sua madre e Giancarla Arpinati, nel suo diario di guerra, racconta di come pedalava in bicicletta dalla città di Bologna alla campagna per portare rifornimenti e notizie ai prigionieri nascosti.
Malgrado i tentativi di sbarramento il tragitto dell’istruzione registra prima un’espansione poi un sorpasso. L’espansione quantitativa nei sistemi educativi si constata a partire dal periodo fascista, nei livelli dell’alfabetizzazione, nelle scuole secondarie, nei licei, nella frequenza universitaria. Il sorpasso, il fenomeno più recente, è un vero e proprio scavalcamento degli uomini da parte delle donne a partire dagli anni ’70. Oggi si può constatare che si è verificata una femminilizzazione dei licei, dove le ragazze che raggiungono il diploma arrivano al 60% del totale. Nell’istruzione terziaria costituiscono la maggior parte della popolazione studentesca, con le matricole che ne rappresentano il 56%. Le donne superano gli uomini nei voti di laurea, nei tempi di laurea, e nel conseguimento dei dottorati di ricerca.
Mirare più in alto, accrescere il proprio sapere, crearsi delle competenze, conquistare un titolo di studio elevato, sono diventati obiettivi sempre più diffusi tra le donne italiane. La laurea, possiamo aggiungere, rappresenta uno strumento di difesa negli snodi difficili del mercato del lavoro, che le aiuta a difendere meglio le posizioni raggiunte. Willson offre il massimo della visibilità a questa faccia del «cambiamento radicale», seguendola nel suo arco di sviluppo.
Peccato che una performance femminile così ammirevole nel campo dell’istruzione non abbia generato una erosione altrettanto apprezzabile nelle disuguaglianze fra uomini e donne nel mercato del lavoro.

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