Maschere antigas e mazze nascoste La battaglia preparata da giorni

Manovra a tenaglia di due frange per impedire il comizio

Manovra a tenaglia di due frange per impedire il comizio

ROMA — C’erano almeno due «blocchi» violenti organizzati alla manifestazione degli Indignati a Roma. Uno era all’interno del corteo, l’altro ha puntato direttamente su piazza San Giovanni forse con l’obiettivo di impedire il comizio finale. In realtà si sono ricompattati a metà pomeriggio e sono andati all’assalto delle forze dell’ordine. Riuscendo a prevalere.

Il giorno dopo le devastazioni e i saccheggi, gli investigatori della Digos e del Ros dei carabinieri disegnano una prima ricostruzione di quanto avvenuto in piazza. Anche per focalizzare gli errori nella gestione dei servizi di ordine pubblico. Ed emerge un dato nuovo: le frange estremiste sono composte per la maggior parte da giovani, anche minorenni. La media ha tra i 17 e i 25 anni, molti di loro si sono «addestrati» e «allenati» schierandosi con i No Tav nei boschi della Val di Susa. Per comunicare usano soprattutto il Web. Sono i filmati e le testimonianze di chi ha potuto osservarli da vicino a fornire i dettagli dei loro comportamenti. Sin dal loro ingresso in città.

La maggior parte arriva sabato mattina. Sono circa le 11 quando i carabinieri di Pomezia inseguono e poi fermano una Fiat 600 con a bordo un ragazzo e tre ragazze. Nel bagagliaio hanno un piccolo arsenale occultato in cinque zaini: quattro caschi da motociclista, dieci maschere antigas con filtri, 500 biglie di vetro e una fionda professionale di grosse dimensioni, quattro mefisti, quattro parastinchi, due mazzette da muratore, un piede di porco e quattro bottiglie con liquido. Nel rapporto già trasmesso alla magistratura si parla di «elementi appartenenti all’area anarcoinsurrezionalista».

Molti giovani che si ritrovano alla «partenza» della manifestazione, in piazza della Repubblica, si sono mossi in maniera autonoma, almeno nell’ultima fase. Ognuno di loro ha nello zaino il proprio equipaggiamento: fionde, biglie, un po’ di sassi. C’è chi ha il casco da ciclomotore agganciato all’asola laterale dei pantaloni. Chi nasconde la maschera antigas, particolare che rimanda alle proteste contro l’Alta Velocità. Un centinaio si sistema in fondo al corteo, una cinquantina comincia a risalire verso la testa. In tutto, questa è l’ultima stima, potrebbero essere circa cinquecento, mimetizzati tra i manifestanti e pronti a tirare giù il passamontagna e su il cappuccio per «travisarsi» quando bisogna entrare in azione.

Lungo il percorso sono sistemate buste di plastica bianche: segnalano i punti dove si trova il resto del materiale da utilizzare negli scontri e per sfasciare bancomat e vetrine. Le hanno messe su pali già divelti, vicino a piccoli mucchi di sampietrini occultati da altre buste, sui portoni di alcuni palazzi dove hanno nascosto mazze e bombe carta. Ed è proprio questa circostanza ad alimentare nei responsabili della sicurezza la convinzione che dietro la strategia di assalto ci sia una precisa regia. Una tattica studiata dai più «anziani» che da tempo avrebbero pianificato di infiltrarsi nel corteo degli Indignati per far fallire il progetto di una manifestazione pacifica.

Il primo attacco parte alle 14,35 nel supermercato Elite e diventa una sorta di prova generale di quello che accadrà in seguito. Sono circa cinquanta, agiscono indisturbati. L’ordine impartito dal questore Francesco Tagliente vieta di intervenire all’interno del corteo per non mettere a rischio l’incolumità di chi sta sfilando. Da lì in poi è una violenza che cresce. Ma sempre con azioni estemporanee che portano piccoli gruppi a uscire dal serpentone e rientrare subito dopo, evidentemente consapevoli che in questo modo le forze dell’ordine non possono fermarli.

Dopo un chilometro cominciano gli scontri. All’altezza di via dei Serpenti c’è chi cerca di «spezzare» il corteo. Parte una carica della polizia, i teppisti rispondono lanciando bombe carta, sassi, bottiglie. Altri stanno sfasciando alcune vetrine. Altri ancora entrano in un albergo sperando di trovare una via di uscita laterale che li porti verso il centro di Roma, in prossimità di quelle sedi istituzionali che rimangono comunque l’obiettivo primario. Vengono rispediti indietro e tornano a mescolarsi tra la folla. Passano una ventina di minuti prima che si riesca a riportare la calma. Ma intanto un gruppo è già arrivato fino al Colosseo e ha cominciato un nuovo assalto.

Le comunicazioni tra la sala operativa della questura e i funzionari che sono in piazza danno conto delle valutazioni sull’opportunità di «caricare» ancora. Alla fine si decide di aspettare. Troppo alto viene ritenuto il rischio di coinvolgere gli altri manifestanti in quel tratto di strada che consente poche vie di fuga visto che da un lato ci sono le aiuole e dall’altra la fermata della metropolitana. E dunque si preferisce attendere che il «nucleo» arrivi più avanti, dopo aver superato la strettoia. Un calcolo che però si rivela sbagliato. Perché quelli che si erano dispersi nel corteo si sono ormai ricompattati e marciano in direzione San Giovanni.

Ora sono un «blocco» numeroso e determinato a scatenare la guerriglia contro i carabinieri, i poliziotti e i finanzieri che in assetto antisommossa e con i blindati li attendono in piazza, lì dove la manifestazione dovrebbe terminare con gli interventi dal palco e la festa. Lì, dove invece c’è un altro «blocco» di violenti organizzato — questa è la convinzione degli investigatori — per l’ultima fase. Verso le 17 comincia una vera e propria battaglia. Molti manifestanti pacifici che hanno raggiunto il punto d’arrivo riescono a fuggire, altri rimangono «schiacciati» contro le «mura» della Basilica. Ma qualcuno decide di aggregarsi ai più violenti, di partecipare agli assalti con lancio di sassi e bombe carta. Va a fuoco il blindato dei carabinieri, le forze dell’ordine entrano in azione con gli idranti. Ma hanno ormai perso il controllo della situazione. E per riportare la calma nella zona dovranno trascorrere altre tre ore.

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