«Patti per le poltrone? Solo un gossip Ma ora serve una coalizione sociale»

Bettin/ LA PRIMAVERA REFERENDARIA VUOLE INCIDERE  Voci di un «patto per i seggi» fra Sel e un pezzo del movimento del 15 ottobre. Un articolo di Giovanni Bianconi sul Corriere della sera ieri spiegava così gli scontri da parte di chi voleva sabotare quei patti. Sel, e cioè Gennaro Migliore e Nicola Fratoianni, indicati come «garanti del patto», smentiscono.

Bettin/ LA PRIMAVERA REFERENDARIA VUOLE INCIDERE  Voci di un «patto per i seggi» fra Sel e un pezzo del movimento del 15 ottobre. Un articolo di Giovanni Bianconi sul Corriere della sera ieri spiegava così gli scontri da parte di chi voleva sabotare quei patti. Sel, e cioè Gennaro Migliore e Nicola Fratoianni, indicati come «garanti del patto», smentiscono. Ma «patto o no, e di patti non ho notizia, la questione non si può ridurre a un gossip», spiega Gianfranco Bettin, scrittore, sociologo, assessore a Venezia, vicino all’esperienza di Uniti per l’alternativa. «In piazza si è marcata una differenza. Da una parte chi vuole costruire una coalizione sociale su contenuti alternativi, beni comuni, lotta alla precarietà e per capirci tutto il percorso da Uniti contro la crisi a Uniti per l’alternativa».
Dall’altra parte?
Chi non crede a questo percorso o non lo ritiene prioritario. Chi dice «noi ribelli facciamo da soli». All’opposto della maggioranza del corteo diceva: «noi ribelli non vogliamo fare da soli , la crisi che minaccia tutti ci dà anche la forza per cambiare».
Il patto è solo un gossip?
È la volgarizzazione del tema della costruzione di una coalizione politica. La stragrande maggioranza dei manifestanti del 15 ritiene di doversi occupare anche del governo, locale, nazionale e persino europeo. Ne discute con il sindacato, la politica, la cultura e l’informazione. La coalizione di soggettività che ha vinto i referendum e ha partecipato alle amministrative a Napoli e a Milano ora discute di pratiche di rappresentanza, di strumenti per consentire una svolta nel paese. La mobilitazione è fondamentale per dimostrare che siamo vivi e che non ci pieghiamo ai diktat delle banche. Ma vogliamo anche decidere. Dobbiamo trasformare l’energia sociale in potenza politica. Dire “tu non vuoi assaltare Palazzo Chigi perché vuoi la poltrona” è ridicolo.
Da Genova 2001 non è la prima volta che il movimento affronta questo nodo. Per il Prc dell’epoca la svolta fu la scelta della non-violenza. Chi fece quella svolta, Bertinotti, oggi è su altre posizioni.
Oggi Bertinotti sostiene che non ci siano le condizioni per incidere nei governi. Può avere ragione, ma chi vuole cambiare le cose non ha alternativa, deve provarci. Il cambiamento è una pratica sociale ma anche politico-istituzionale. La questione della nonviolenza non va affrontata in astratto. A Genova fu caricato anche un corteo autorizzato. Se sei scaraventato in un casino, non ti metti a discutere. Lo dico non per giustificare ma per capire quello che succede. In linea generale la nonviolenza è la scelta più lungimirante. Toglie alibi alla reazione del potere.
Non è stato il ‘potere’ a parlare di legge Reale. È stato Di Pietro, che sta a pieno titolo nella ‘coalizione’ dei referendum.
Di Pietro è uomo d’ordine e lo rivendica. E comunque il sindaco di Napoli De Magistris, proprio sul manifesto, ha innescato una felice contraddizione nell’Idv. Ma è bene che la discussione si sviluppi e faccia chiarezza.
Al momento però gli scontri di piazza politicamente vanno sul conto di Vendola, che non a caso ha usato le parole più dure contro ‘la violenza’.
Vendola sta nel mirino perché sta al centro di questo dibattito, il che significa che non è trascurabile e non sta al margine, né dei movimenti né delle istituzioni. È anche al centro delle speranze. Mi pare che questo sia il senso della candidatura alle primarie. Ma questo succede anche a Pisapia, a De Magistris. Il che aumenta anche loro i casini. E i gossip.
Il 15 si è prodotta una rottura nel movimento?
Il 99 per cento da una parte, l’1 dall’altra, per riprendere uno slogan della piazza. Poi l’80 e il 20 va bene lo stesso. Ci sono pezzi della società che vogliono fare testimonianza, ma questo non vale solo per chi ha fatto gli scontri, ma anche per un movimento come quello di Grillo. Non dico che siano la stessa cosa, ma se scegli di far perdere il candidato di centrosinistra in Piemonte, o nel Molise senza neanche provare a costruire un programma insieme, stai sul versante testimonianza che su quello del cambiamento. Non escludo che la giornata del 15 possa anche far aumentare quel grido di rabbia, e che la visibilità e l’estetica del gesto possa portare da quella parte un po’ di altra gente. Ma che succede quando non avrà più una manifestazione dietro la quale nascondersi?

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