«No privatizzazioni, tassare i patrimoni e le rendite finanziarie»

 «Dobbiamo far sapere ai politici, e alle élite finanziare di cui sono servi, che tocca al popolo decidere del suo futuro. Non siamo beni nelle mani di politici e banchieri che non ci rappresentano». Così nel manifesto diffuso via social network, da Facebook a Twitter. Chiedono innanzitutto più democrazia, più potere di decidere e una risposta al fallimento della finanza e alla disoccupazione da essa creata, i vari movimenti che ieri hanno sfilato in 82 Paesi e 951 città  nel mondo.

 «Dobbiamo far sapere ai politici, e alle élite finanziare di cui sono servi, che tocca al popolo decidere del suo futuro. Non siamo beni nelle mani di politici e banchieri che non ci rappresentano». Così nel manifesto diffuso via social network, da Facebook a Twitter. Chiedono innanzitutto più democrazia, più potere di decidere e una risposta al fallimento della finanza e alla disoccupazione da essa creata, i vari movimenti che ieri hanno sfilato in 82 Paesi e 951 città  nel mondo. A partire dagli «Indignados», i manifestanti spagnoli che hanno dato il nome alla protesta globale, fino agli americani di «Occupy Wall Street» e ai «Draghi ribelli», come si sono ribattezzati i giovani italiani giocando sul nome del numero uno della Banca d’Italia (e tra poco della Banca centrale europea), Mario Draghi. Un premio Nobel per l’Economia come Paul Krugman si è schierato dalla loro parte: «I dimostranti hanno ragione. Da principio se n’è parlato pochissimo come se fossero episodi folkloristici. Ma ora è chiaro che sta succedendo qualcosa di importante. Finalmente dopo tre anni in cui le Persone Tanto Coscienziose si sono rifiutate di inchiodare il mondo della finanza alle sue responsabilità, c’è una sollevazione dal basso contro i padroni dell’universo».

Mercoledì scorso i «Draghi ribelli» hanno consegnato al presidente Giorgio Napolitano una contro-lettera in replica a quella spedita da Jean-Claude Trichet e Mario Draghi al governo italiano ad agosto: «Come è possibile promuovere politiche pubbliche a sostegno delle giovani generazioni», hanno scritto a Napolitano, «prendendo sul serio le letterine estive di Trichet e Draghi? Come è possibile farlo se il pareggio di bilancio diventa regola aurea, da inserire, addirittura, all’interno della carta costituzionale di cui Lei è garante?». Da qui le proposte: rifiuto di pagare il debito, no alle privatizzazioni di beni comuni come l’acqua, «tassazione delle rendite finanziarie, delle transazioni, dei patrimoni mobiliari e immobiliari, per far pagare la crisi a chi l’ha creata».

A protestare sono in molti casi laureati precari, che hanno viaggiato anche grazie alle possibilità offerte loro dalle famiglie, che si esprimono in varie lingue. E che hanno coscienza di come funzionano i meccanismi della finanza, di come essa condizioni le scelte della politica. Non per nulla le manifestazioni di ieri hanno trascurato i luoghi della democrazia elettiva, scegliendo luoghi simbolo della finanza da Wall Street a New York alla City di Londra alla sede della Bce a Francoforte. «Noi respingiamo l’austerità come soluzione della crisi in quanto porta a una gestione autoritaria e antidemocratica della ricchezza comune», è scritto nel blog ufficiale della manifestazione, «Global change». Le sfumature sono diverse a seconda dei Paesi e degli orientamenti dei gruppi della galassia degli Indignados. Così come le richieste: in Europa si pone l’accento soprattutto sul reddito minimo garantito e sull’accesso gratuito a istruzione, salute, casa, conoscenza. Punti ricollegabili alle proteste no-global di dieci anni fa, come al G8 di Genova, cui molti sono tornati ieri con la memoria per le violenze di Roma.

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