SINISTRA La scomparsa dell’economista Pierangelo Garegnani
Noto a livello mondiale ha contribuito a innovare l’analisi di Marx mettendola in rapporto con l’opera di Piero Sraffa e di Lord Keynes
SINISTRA La scomparsa dell’economista Pierangelo Garegnani
Noto a livello mondiale ha contribuito a innovare l’analisi di Marx mettendola in rapporto con l’opera di Piero Sraffa e di Lord Keynes
Il 15 ottobre è morto Pierangelo Garegnani, economista che ha dato un contributo di grandissima rilevanza alla teoria economica. Il suo prestigio internazionale è legato soprattutto al suo ruolo nella controversia sulla teoria del capitale negli anni Sessanta e Settanta, che costrinse Paul Samuelson, allora principale esponente della teoria economica dominante, ad ammettere la correttezza e rilevanza delle critiche mosse.
I lettori de il manifesto ne ricorderanno più probabilmente i contributi alla discussione su Marx e Sraffa che si sono svolti su «Rinascita» tra la fine degli anni Settanta e l’inizio degli anni Ottanta, o un recente contributo alla «Rivista del Manifesto» (2004, con M. Lucii e T. Cavalieri) in cui si proponeva una interpretazione del cambiamento politico ed economico – una sconfitta del mondo del lavoro – verificatosi nei paesi industrializzati alla fine degli anni Settanta.
Tuttavia manca spesso, probabilmente a causa della progressiva chiusura e frammentazione del dibattito economico, una visione complessiva del lavoro teorico di Garegnani, che si colloca in profonda continuità con quello di Piero Sraffa. Tale lavoro teorico ha una portata non solo critica ma anche fortemente costruttiva e propositiva con implicazioni di grande rilievo per l’interpretazione dei fenomeni economici e per la politica economica.
Ciò che veniva messo in discussione nella critica alla teoria marginalista del capitale, erano i fondamenti teorici, e quindi la stessa legittimità scientifica, della teoria dominante in tutte le sue implicazioni. Tra queste, hanno rilevanza centrale l’affermazione che una economia di mercato tende spontaneamente alla piena occupazione del lavoro e all’utilizzo della capacità produttiva esistente, purché non vi siano ostacoli derivanti da rigidità di prezzi e salari, e la connessa spiegazione della distribuzione del reddito tra salari e profitti come il risultato di meccaniche e neutrali «forze di mercato» – da un lato ineludibili, dall’altro portatrici di efficienza.
A tale critica ai fondamenti della teoria dominante Garegnani attribuiva il ruolo importantissimo di liberare lo studio dei fenomeni economici dalla morsa delle conclusioni della teoria tradizionale e di dare una solida base scientifica alla ripresa della impostazione classica e di Marx per quanto riguarda la teoria della distribuzione e dei prezzi, e al principio keynesiano della domanda effettiva come unica teoria legittimamente fondata del livello di produzione e occupazione.
Su entrambi questi versanti (ripresa dei classici e sviluppi della teoria del reddito) il contributo di Garegnani è stato molto rilevante. I suoi numerosi lavori relativi alla interpretazione dei classici e di Marx (si può qui ricordare, in italiano, Marx e gli economisti classici, Einaudi) hanno contribuito a chiarire la struttura di quella impostazione, caratterizzata in modo essenziale da una visione della distribuzione del reddito come determinata dai rapporti di forza tra le parti sociali: influenzata quindi da un insieme di fattori economici e istituzionali e quindi – come aveva scritto Sraffa nella sua corrispondenza – non indipendente dalle azioni intraprese dalle parti sociali.
È proprio nella natura di questo conflitto, e nella disparità di potere che comunque caratterizza i proprietari dei mezzi di produzione rispetto ai lavoratori, che Garegnani, seguendo i classici, vedeva le origini del profitto e la base della nozione di sfruttamento in Marx. Una nozione dunque che sopravvive, insieme alla impostazione generale e alla maggior parte dei contributi di Marx, ad esempio relativi alla analisi della accumulazione, anche senza la teoria del valore lavoro. Quest’ultima, in Marx e anche in Ricardo, è stata uno strumento importante di analisi economica, che ha consentito importanti progressi, ma che tuttavia per i suoi limiti deve e può essere oggi abbandonata grazie al contributo di Piero Sraffa alla teoria classica dei prezzi e della distribuzione.
Per quanto riguarda la spiegazione dei livelli di occupazione, Garegnani ha contribuito a chiarire le tensioni esistenti tra la teoria dominante della distribuzione e la teoria keynesiana del reddito basata sul principio della domanda effettiva, ed ha argomentato che quest’ultima poteva ben conciliarsi con la teoria classica della distribuzione e dei prezzi relativi. In tal modo verrebbero meno quegli elementi che hanno portato gli economisti mainstream a considerare la teoria keynesiana al più come una teoria delle recessioni o del ciclo economico, ma non valida tuttavia a descrivere le tendenze dell’economia su periodi più lunghi (si veda, in italiano, Valore e domanda effettiva, Einaudi).
Sulla base delle premesse appena descritte Garegnani ha anche contribuito a delineare le basi di una teoria della accumulazione coerente con il principio della domanda effettiva. Se, sulla base di quest’ultimo, si può affermare che in un dato periodo sono le componenti della domanda (consumi, investimenti, spesa pubblica, esportazioni) a determinare il livello di produzione e occupazione e il grado di utilizzo della capacità produttiva esistente, su periodi più lunghi sarà lo stesso andamento delle componenti della domanda a determinare la creazione – o la distruzione – di capacità produttiva da parte delle imprese. Ne segue, ad esempio, che riduzioni della domanda, quali quelle determinate da riduzioni dei salari o da «politiche di austerità», non solo hanno effetti negativi sull’occupazione nel breve periodo, ma anche nel lungo, in quanto compromettono la crescita della base produttiva.
In realtà le conclusioni della teoria che era stata attaccata e apparentemente sconfitta nella controversia sul capitale sono ancora tra noi e spesso dominano il dibattito sulla politica economica. Il perché di tale resistenza è probabilmente molto complesso sia sul piano scientifico che sociale e non può essere questa la sede per una analisi adeguata. Nel concludere questo profilo mi fa piacere però ricordare la grande fiducia di Garegnani nel fatto che, nel dibattito economico come in altri campi scientifici, il rigore teorico e la validità delle analisi proposte avrebbe comunque finito col prevalere – e come questa fiducia lo abbia portato a un impegno intellettuale che non è mai venuto meno e che lo ha visto interloquire, anche negli anni più recenti, con prestigiosi economisti di diverso orientamento.
0 comments