SI LITIGA IN RETE Nel magma di invettive, analisi e reprimende che in questi giorni si è addensato nei blog e sulle mailing list, tra i post con hashtag al seguito, è possibile individuare le tendenze che orientano il dibattito dei «movimenti» sulle cronache tumultuose della manifestazione di sabato 15 ottobre.
SI LITIGA IN RETE Nel magma di invettive, analisi e reprimende che in questi giorni si è addensato nei blog e sulle mailing list, tra i post con hashtag al seguito, è possibile individuare le tendenze che orientano il dibattito dei «movimenti» sulle cronache tumultuose della manifestazione di sabato 15 ottobre.
La spaccatura è profonda: da un lato c’è chi, come gli studenti della Sapienza, considera gli scontri avvenuti lungo il percorso verso piazza San Giovanni come un «attacco alla manifestazione» causato dalla «volontà minoritaria» di alcuni gruppi di sovradeterminare il corteo. Dall’altro lato c’è chi, ad esempio il centro sociale milanese «Il Cantiere», sostiene: «Chi afferma che il 99% (del corteo, ndr) è contro gli scontri, le azioni, la resistenza di Roma è disinformato e in malafede: il 99% è contro quell’1% che detiene la ricchezza e fagocita risorse e beni comuni». Se Global Project, il sito dei centri sociali del Nord-est e della rete studentesca «Unicommon», sostiene che le azioni distruttive contro edifici e macchine «avevano quasi come unico obiettivo, tutto politico, di colpire il Coordinamento 15 ottobre», InfoAut – la rete dell’area antagonista – ribadisce che «doveva finire con qualche comizio in piazza, è finita con ore di resistenza… Que se vayan todos (ma proprio todos)».
La polemica è dura, come si legge nella missiva – sorprendente – di un gruppo che si auto-definisce «black bloc» pubblicata su «Antifascismo militante». Titolo: «A voi pacifisti dedichiamo un vaffanculo». «Il 15 – si legge – tra chi ha bruciato le macchine, non c’era chi il 3 luglio in Val di Susa ha cercato di riappropriarsi del cantiere». In compenso loro erano tra i 5 mila di San Giovanni, ma «non eravamo organizzati». Si dissociano dalla distruzione della statua della Madonna in via Labicana, dall’assalto alle macchine di precari «come noi», ma sono d’accordo con la «sfasciatura simbolica delle banche». Ribadiscono di non «essersi mai permessi di rovinare cortei altrui».
La condanna dell’invito alla delazione di massa fatto da alcuni media è unanime, così come la proposta di Di Pietro di tornare alla legge Reale. Ma ciò che sembra mettere d’accordo gli opposti è che le cariche della polizia a San Giovanni hanno provocato una rabbia collettiva che si è espressa con una «resistenza». La blogger Baruda scrive: «sono felice, oggi la mia città era bella, migliaia di persone hanno resistito con tanta rabbia alle cariche». Il «collettivo politico comunista» Militant di base a Roma aggiunge: «La piazza ha esondato e scavalcato ogni struttura, gruppo, sindacato o partito».
Lo stesso concetto ricorre nel comunicato del coordinamento studentesco Univ-aut di Bologna. Sta sempre più emergendo la sensazione, già denunciata nelle reazioni a caldo dopo gli scontri del 14 dicembre 2010 a Roma, che esista un’indignazione sociale che non trova una forma, o un linguaggio, per esprimersi. Sul sito wumingfoundation, dov’è in corso una colossale discussione sul 15, Luca (già Wu Ming 3) del gruppo di scrittori autori di Q (come Luther Blisset) o di 54, ha scritto un post politico e, allo stesso tempo, intimo in cui racconta di essere stato colto da un infarto venerdì scorso. «È fascista l’infarto? No, meglio, è nichilista l’infarto? – domanda – Si trattava con ogni evidenza di una minoranza di stronzi che ha occupato le mie arterie mentre tutto il resto del sangue manifestava e scorreva gioioso e pacifico nel mio organismo». Da dove sono spuntati «questi fottuti bastardi che volevano uccidermi?». L’allusione è agli «infiltrati» che vengono contrapposti al corpo sano della mobilitazione.
Un infarto avrebbe dunque colpito i movimenti. Ma visto che la società non è un organismo, che fa fatica ad assorbire i conflitti, ma un’entità complessa che invece deve gestirli, bisogna attrezzarsi per ricostruire un’alfabetizzazione emotiva e politica dopo la catastrofe culturale, prima ancora che politica o economica, che è avvenuta in Italia. «Non basterà una generazione a svolgere il compito – conclude Wu Ming 3 – Ma si potrebbe essere fieri di cominciare.Occupy everything. State bene».
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