Ironiche e quotidiane narrazioni sul lavoro in fabbrica

 Dopo la sconfitta operaia, la fabbrica è stata per molti anni un «buco nero». Poco si sapeva cosa accadeva dentro quei cancelli. E la sconfitta ha determinato anche l’eclissi di quella breve stagione della cosiddetta letteratura operaia. Non che non fossero più prodotti romanzi, ma la loro pubblicazione era sempre difficile, e se qualche editore era interessato a scommettere su una raccolta di racconti e su un romanzo «operaio» era certo che era un editore indipendente.

 Dopo la sconfitta operaia, la fabbrica è stata per molti anni un «buco nero». Poco si sapeva cosa accadeva dentro quei cancelli. E la sconfitta ha determinato anche l’eclissi di quella breve stagione della cosiddetta letteratura operaia. Non che non fossero più prodotti romanzi, ma la loro pubblicazione era sempre difficile, e se qualche editore era interessato a scommettere su una raccolta di racconti e su un romanzo «operaio» era certo che era un editore indipendente. E questo non sarebbe certo un problema. Il problema era che la produzione indipendente ha da sempre difficoltà di distribuzione. E così molti libri avevano una circolazione limitata.
Una breve parentesi c’è stata con i romanzi che testimoniavano una condizione di precarietà nei rapporti di lavoro. Ma erano pur sempre narrazioni che parlavano di una condizione esistenziale, di assenza di futuro in una prospettiva generazionale. Romanzi essenziali per far conoscere una realtà spesso assunta a simbolo di una modernizzazione indispensabile affinché i mercati potessero produrre profitti per chi quel lavoro precario lo sfruttava.
Ma la fabbrica, le sue trasformazioni, il ricambio generazionale che l’ha interessata è rimasta un «buco nero» fino a quando il conflitto ha superato le sua mura. Gli invisibili in tuta blu, ormai non molto diversi dai precari della conoscenza, hanno cominciato a prendere la parola in forma scritta, come testimonia questa raccolta di «Racconti di fabbrica» firmati da Franco Cesaro e Mauro Bini e pubblicata da Guerini e Associati (pp. 184, euro 16,50).
Pagine scritte con ironia per illustrare come dietro tante parole altisonanti si celano storie di ordinario sfruttamento. Sono racconti, ovviamente, ma i due autori hanno inserito degli intermezzi che inquadrano la condizione lavorativa analizzata, meglio opacizzata dalle scienze sociali. Così, mentre tutti gli studiosi dicono che la gerarchia è meno rigida nel passato, c’è la narrazione di come il quotidiano rapporto tra il capo e sottoposto è sempre segnato da asimmetrie di potere. Soltanto che, a differenza del passato, non c’è la formalizzazione del comando, bensì quella forma impalpabile e tuttavia autoritaria che ha il nome neutro di relazioni ravvicinate, di promozione del personale. Come si legge, la nuova gerarchia è sintetizzabile in una frase: «Il grande capo ti dice amichevolmente di obbedire e non protestare».

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